Giovedì 8 settembre – ore 18.30
Villa Romana delle Grotte | Portoferraio

Elba Festival Orchestra – Solisti del Festival – Mozart, Rossini, Beethoven


Adam Walker flauto | Liana Gourdjia violino, concertatrice | Ting-Ru Lai viola | Orfeo Mandozzi, Giovanni Gnocchi violoncelli | Alexei Ogrintchouk, Davide D’Agostino oboi | Olivier Patey, Nina Reynaud, clarinetti | Andrea Cellacchi, Lorenzo Drago fagotti | Jose Vicente Castello, Martin Reiter corni | Elba Festival Orchestra

W.A. Mozart Quartetto per flauto e archi K. 285
G. Rossini Une Larme per violoncello e orchestra d’archi
L. van Beethoven Ottetto per fiati op. 103

W.A. Mozart Quartetto per flauto e archi K. 285

I. Allegro
II. Adagio
III. Rondo

Il Quartetto in re maggiore K. 285 è il primo di una serie composta ma non completamente per il medico e flautista dilettante olandese Ferdinand Nikolaus Dejean (definito da Mozart nella sua lettera al padre come “il prode olandese”) durante il soggiorno a Mannheim, e precisamente nel dicembre 1777. Come si scopre da lettere il “committente” non è stato puntuale nel pagamento e in genere a Mozart sia lo strumento stesso, cioè il flauto, che il dilettante olandese non erano particolarmente simpatici e stimolanti. Così vennero fuori tre quartetti K 285, 285-a e 171 in appendice, cioè catalogato come K. Anhang 171. Come ritiene Alfred Einstein, il primo dei Quartetti è il più completo, in quanto è in tre movimenti, ma lo è anche nello stile e nel contenuto. Sono presenti gli elementi di concertazione, certamente il flauto è sempre sul primo piano, ma nel Rondò anche violino e viola partecipano come voci importanti. Il delizioso Adagio pieno di dolce tristezza (nella famosa tonalità di si minore!) che prepara il Rondò, forse è il più bell’assolo del flauto con l’accompagnamento, potrebbe diventare il preludio alla scena di Elysium nell’Orfeo di Gluck, mentre il Rondò di per se è un pezzo pieno di allegria, di generosità melodica e di fascino timbrico.
“Nessuno potrebbe mai immaginare che non sia stato composto con amore”. Da notare come l’Adagio letteralmente s’interrompe, si “sospende”, sull’accordo della nona di secondo grado per poi subito passare al Re maggiore del Rondò! Un ennesimo miracolo mozartiano, uno dei tanti che spesso accettiamo senza renderci conto delle sue genialità.

Gioachino Rossini – Une larme tema e variazioni per violoncello e pianoforte (trascrizione per violoncello e archi di Eliodoro Sollima)

Rossini compone il nono volume dei suoi “Peccati di vecchiaia” nel 1858, e vi raccoglie composizioni per pianoforte solo e alcuni brani da camera per organico vario. Une larme è il piccolo gioiello ben noto ai violoncellisti più ambiziosi: un mondo complesso in meno di dieci minuti in cui violoncello e pianoforte avvicendano piani differenti, come in ogni tema e variazioni che si rispetti; la modalità colpisce quando ci si accorge di quanto teatro si celi in quella pagina strumentale. Le Variazioni Une Larme sono tra le opere che il compositore scrisse dopo aver smesso di scrivere opere. Quando Max Maria von Weber (figlio di Carl Maria von Weber) parlò a Rossini durante una visita nel 1865 della sua decisione di non scrivere per il teatro, il maestro gli fece un cenno: “Non parlarmene. Tuttavia compongo costantemente. Guarda questi scaffali traboccanti di manoscritti musicali. Tutto questo l’ho scritto dopo il Guglielmo Tell. Ma non ne pubblico niente: scrivo perché non posso fare altrimenti”.
Il frontespizio del manoscritto conservato a San Pietroburgo porta la data 18 novembre 1858 con l’aggiunta in francese “in memoria di Michail Vielgorsky”. Inoltre, la dedica “Per il conte Matvei Vielgorsky”. Mikhail Vielgorsky (Wielhorsky) (1788–1856) era un compositore di talento e musicista acclamato. Fu amico di Puškin, Glinka, Schumann, Liszt, Berlioz e altri personaggi noti del suo tempo; aveva la reputazione di essere altamente istruito, anche come musicista, così definito con le parole di Rossini: “Uno dei migliori intenditori del mondo”. Suo fratello minore Matvei Vielgorsky (1794–1866), a cui Une Larme è dedicato, fu un noto virtuoso del violoncello e un allievo di Bernhard Romberg. Rossini ha scherzato: “I compositori tedeschi vorrebbero che scrivessi come Haydn o Mozart. Ma per quanto mi sforzi, sarei solo un cattivo Haydn o Mozart. Allora è meglio che io rimanga Rossini… almeno sono un Rossini perbene”.
In Une Larme è proprio un Rossini divino, il “Cigno di Pesaro” ammirato in tutta Europa. Il tema elegiaco e secondo me anche leggermente ironico, subito teatrale, operistico, che corrisponde interamente al genere della memoria, lascia il posto a variazioni di caratteristiche diverse. Abbiamo l’eroica Cabaletta e la complicata coloratura, le cadenze virtuose, la declamazione recitativa, pura illusione di un duo operistico, imitato dalle doppie note del violoncello e infine il brillante tipico “crescendo rossiniano” che porta a coronamento il ciclo delle variazioni.
Intorno al 1970 è venuto alla luce un autografo rossiniano per contrabbasso e pianoforte anch’esso dal titolo Une larme: uguali i temi melodici principali, percorso emotivamente semplificato con eliminazione di molte delle sezioni e durata drasticamente ridotta di due terzi.
Per inciso Une larme sarà, alcuni anni dopo, il titolo di un brano pianistico apparentemente convenzionale ma denso e profondo scritto dall’inquieto Modest Musorgskij poco prima della morte. Parzialmente insito nelle evocazioni del titolo, forse per questo suo fascino la Larme rossiniana – che stilisticamente guarda anche molto avanti agli sviluppi strumentali della musica francese da Bizet a Fauré – ha circolato in trascrizione in più versioni compresa quella qui scelta, che affianca violoncello e orchestra d’archi. Ma quella lacrima rossiniana funziona anche così.

Ludwig van Beethoven – Ottetto per fiati op. 103

I. Allegro
II. Andante
III. Menuetto
IV. Presto

Nonostante la numerazione op.103, quindi vicino ai capolavori come le Sonate per pianoforte op.101, op.106 e le due Sonate per violoncello op.102, in questo caso si tratta di una composizione giovanile di Beethoven, tipo 1792, collocata con quel numero avanzato solo per ragioni di spazio nel suo catalogo.
Due parole sul genere assai originale per i nostri tempi: l’ottetto per fiati è una delle forme più classiche del “musizieren”, cioè fare musica insieme. A metà del ‘700 un complesso da camera del genere si è formato con il nome “Harmoniemusik”. Con la parola tedesca “Harmonie” si intendeva la sezione dei fiati nell’orchestra, alla quale spesso si affidava la funzione dello sfondo armonico. Per ottetto di fiati hanno scritto oltre a Beethoven anche Haydn, Mozart, Schubert, esattamente per 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti e 2 corni. L’Ottetto di Beethoven è stato pubblicato con il titolo Parthia dans un Concert in Es / a / due Clarinetti / due Corni / due Fagotti. Qualche anno dopo il maestro la rielaborò con sensibili modificazioni per un Quintetto di violini, 2 viole e violoncello, che fu pubblicato quasi subito nel 1796 con il numero d’opera 4 e venne quindi divulgato molto prima della redazione originaria per strumenti a fiato.
L’Ottetto op. 103 nasce nel 1792 a Bonn, per i fiati dell’orchestra di corte di Maximilian Franz, fratello maggiore di Giuseppe II. Johann Würzer, compagno di studi di Beethoven e futuro presidente del Tribunale di Bonn, racconta con entusiasmo della qualità di quei fiati, primi interpreti dell’Ottetto: “È assai raro poter ascoltare simili composizioni suonate con tanta intonazione e precisione, con tanta ricchezza e varietà di sfumature”.
Primo movimento Allegro è caratterizzato da un’idea ritmica ripresa più volte, esposta dall’oboe e poi variata dagli altri fiati. Tema robusto, sonorità piene; lo sviluppo è ampio e complesso, ricco di tensioni armoniche e ritmiche. Nel successivo Andante Beethoven fa emergere le qualità espressive dei fiati. Il tema principale, dolce e delicato, viene esposto prima dall’oboe poi dal fagotto. Nel Minuetto, in realtà uno Scherzo, il tema molto ritmico anticipa in qualche modo lo Scherzo della Nona Sinfonia. Si contrappone un Trio dal carattere pacato, punteggiato da numerose pause che aggiungono al brano un’aura di mistero. Il conclusivo Finale: Presto è un brillante rondò dai chiari accenti haydniani.

Commento a cura di Valerij Voskobojnikov