Villa Romana della Linguella | Portoferraio
Solisti del Festival – Elba Festival Orchestra – Prokofiev, Schubert
Giovanni Gnocchi, Raphael Bell violoncelli | Alexei Ogrintchouk oboe | Olivier Patey clarinetto | Boris Garlitsky violino, concertatore | Ting-Ru Lai viola | Niek De Groot contrabbasso | Elba Festival Orchestra
G. Sollima | Arboreto salvatico per due violoncelli |
S. Prokofiev | Quintetto per archi e fiati op. 39 |
F. Schubert | Sinfonia n. 3 D. 200 |
Bisogna spendere qualche parola per spiegare meglio questo strano titolo e il contenuto di questo brillante brano del bravissimo compositore e violoncellista siciliano: i tre movimenti del Arboreto salvatico per due violoncelli, dedicato alla Città di Asiago, sono intitolati Pino, Tasso e Sequoia e provengono dalla raccolta dei racconti di Mario Rigoni Stern, un militare alpino e scrittore quasi sempre vissuto ad Asiago, da dove si assenta nel periodo della guerra in Russia, da cui fortunatamente è tornato in patria ma poi fu rinchiuso nel campo di concentramento in Prussia. Arboreto salvatico è una raccolta di «ritratti» arborei, un po’ scientifici un po’ letterari, che Mario Rigoni Stern realizzò nel 1989. Ogni racconto è dedicato ad una pianta diversa, e fornisce il pretesto per raccontare vicende personali e ricordi dell’autore. È Rigoni Stern stesso a precisare il perché di questo titolo e la genesi del libro nella Nota all’edizione del 1996 che apre il volume: “Un giorno, era la primavera del 1989, mi venne da scrivere del peccio […] via via seguirono descrizioni di altri alberi, un po’ scientifiche un po’ letterarie. Naturalmente l’attenzione maggiore era dedicata agli alberi che mi stavano più vicini, come un rustico arboreto. […] Ma “salvatico”? L’aggettivo era usato nel Rinascimento per selvatico: due parole che messe insieme mi piacciono, anche se in contraddizione tra di loro: selvatico è non coltivato, non domestico, ricoperto da selve, anche rozzo; ma c’è la vocale a al posto di una e, e così tutto cambia: un salvatico che diventa salvifico, che conduce alla salvezza.” Ancora una nota personale: è interessante che Mario Rigoni era attratto dagli scrittori non solo occidentali ma anche dai russi come Lev Tolstoj e Anton Čechov: in apertura a Arboreto salvatico, l’autore si fa da parte per dare spazio proprio a Čechov:
“Čechov, nel 1888, scriveva «Chi conosce la scienza sente che un pezzo di musica e un albero hanno qualcosa in comune, che l’uno e l’altro sono creati da leggi ugualmente logiche e semplici». Dieci anni dopo a un amico che va a trovarlo in Crimea dice: «Qui ogni albero l’ho piantato io e mi sono cari. Ma ciò che importa non è questo, è il fatto che prima che venissi io qui non c’era che un terreno incolto e fossi pieni di catrame e cardi selvatici. Ho trasformato quest’angolo perduto in un luogo bello e civile. Lo sa? Fra tre, quattrocento anni, tutta la terra si trasformerà in un bosco fiorito e la vita sarà meravigliosamente leggera e facile»”.
Ecco tutti i nominativi degli alberi menzionati dallo scrittore: larice, abete, pino, sequoia, faggio, tiglio, tasso, frassino, betulla, sorbo, castagno, quercia, ulivo, salice, noce, pioppo, melo, acero, gelso, ciliegio. Per quanto riguarda in concreto i tre alberi scelti da Giovanni Sollima, cioè Pino, Tasso e Sequoia, secondo lo scrittore-montanaro essi si caratterizzano in questo modo: il pino rappresenta non solo la bellezza, la forza, l’altezza, ma anche il calore della casa, in quanto viene usato proprio per il fuoco domestico. Il tasso, per Rigoni, è simbolo della morte e dell’eternità. Infine la sequoia è lontana dal proprio ambiente naturale ma portata, a ricordo dei compagni morti, da un donatore torinese, che nel 1915 fu su questi monti di guerra.
La musica di Sollima – leggermente minimalista nello stile – è stata ispirata non solo dall’aspetto di queste piante ma anche dal contenuto dei racconti di Rigoni, strettamente legati alla natura, alla vita, alla bellezza. Il suono dei due violoncelli sembra inserirsi perfettamente nel rapporto tra l’uomo e la natura, la montagna in particolare, con le sue immagini di pace e di magnificenza ma anche con diversi pericoli e paure che vi si nascondano.
Sergej Prokofiev – Quintetto per oboe, clarinetto, violino, viola e contrabbasso in sol minore op.39
I. Tema con variazioni
II. Andante energico
III. Allegro sostenuto, ma con brio
IV. Adagio pesante
V. Allegro precipitato, ma non troppo presto
VI. Andantino
Nel suo Diario datato l’anno 1927, tradotto da me con l’aiuto di Franco Ricci, e pubblicato sotto il titolo Viaggio in Bolscevisia, in data 6 marzo, Sergej Prokofiev scrive che nella sala della Colonne si è svolto un concerto delle sue musiche da camera, con la partecipazione dei giovani studenti del Conservatorio. “Ai pezzi per violino è seguito il Quintetto nel quale i musicisti moscoviti si sono sfogati eseguendolo con inatteso brio ed entusiasmo. Il Quintetto è venuto benissimo. Certo, con il tempo lo suoneranno ancora meglio, ma già ora questa esecuzione è imparagonabile a quella di Boston, quando Kusevizkii mi diceva: ‘Mio caro, questo brano non è per niente di effetto’. Sono stato terribilmente contento ed ho goduto durante l’esecuzione; il defunto, chissà perché seppellito da vivo, è resuscitato. Presso il pubblico ha avuto un buon successo. Mjaskovskij: ‘E’ assolutamente incredibile! Non c’è battuta dove l’interesse possa minimamente cadere’. Esecutori: Nikolaj Nazarov oboe, Ivan Majorov clarinetto, Dmitrij Zyganov violino, Vadim Borisovskij viola, Iosif Gertovic contrabbasso”.
Prokofiev è famoso come autore della musica per il balletto, i suoi Romeo e Giulietta, Cenerentola, Fiaba del fiore di pietra sono sempre presenti nei teatri e la nascita del Quintetto è legata al genere del balletto. “Ho accettato la commissione per un breve balletto da una troupe ambulante”, scrisse lui nella sua autobiografia. “Questa troupe ambulante era il “Teatro romantico russo” diretto da Boris Romanov, soprannominato “il piccolo Fokin”, perché le sue realizzazioni erano valutate come “un ponticello da Fokin verso l’espressionismo”. Mentre Prokofiev si trovava nel 1924 in Francia a St. Gilles-sur-Vie, Romanov gli commissionò la musica per il balletto in un atto. Loro due già si conoscevano, perché nel 1915 Romanov aveva intenzione di fare un balletto sulla musica di Ala e Lollij, che fallì. Il suo teatro ambulante era povero e quindi gli serviva la musica per un complesso strumentale non troppo grande. Il soggetto del balletto, nominato Trapezio, proveniva dallo spettacolo intitolato Cosa è successo alla ballerina, al cinese ed agli artisti del circo, da lui messo in scena in Russia nel 1913. Sul palco agivano gli artisti del circo, che sembrano di essere mezzo-uomini e mezzo-giocattoli, esattamente una Ballerina, gli Acrobati forzuti, i Saltatori, il Cafone, mentre la tragedia finale (la morte della Ballerina) avviene a causa dello scoppio di un petardo. Il progetto entusiasmò il compositore, attratto dagli sperimento ed ironia. La musica però doveva avere una propria vita anche senza il palcoscenico, ed infatti dopo una prima nella città tedesca di Gota, il balletto è stato presentato ad Hannover, poi a Torino e non più. Lo stesso teatro ambulante smise di esistere. Ma la musica scritta da Prokofiev è diventata il Quintetto in sol minore. In parallelo nasceva anche la Seconda sinfonia, piena di nuovi colori sia armonici che timbrici. Il Quintetto è costituito da sei movimenti, il primo Moderato mantiene i tratti tripartitici e delle variazioni. Dopo il tema seguono due variazioni, una lirica e l’altra scherzosa, poi ritorna il tema. Il motivo principale ricorda le canzoni popolari russe, ma in una versione caricaturale, creando un’immagine da “lubok”, la fiera. Il secondo movimento, Andante energico, sviluppa questa linea con una sonorità da organetto, sul primo piano appare il contrabbasso con il suo passo da orso. Anche qui prevalgono i tratti caratteristi russi nel ritmo e nella fattura sotto voci. È perfettamente scherzoso il terzo movimento, Allegro sostenuto, ma con brio, ma non è uno scherzo leggero, volatile come la variazione nel primo movimento, qui è feroce e severo. Una specie di danza della morte, grottesca, scatenata, con il ritmo che cambia di continuo. Il quarto, Adagio pesante, una narrazione dolente. Una melodia monotona e insistente “strisciante”, come un pensiero fisso, nel passo culminante, per ben dodici battute il clarinetto suona un sol della seconda ottava come un grido di disperazione. Il quinto movimento, Allegro precipitato ma non troppo presto (il compositore inventa questa parola “precipitato” come nei Sarcasmi per il pianoforte), ricorda con le sue esclamazioni minacciose la Suite degli sciiti. E molto bizzarra la strumentazione: le sordine, i pizzicati, i glissandi, suoni armonici nella parte del contrabbasso. Si conclude in modo insolito, Andantino, piuttosto lento. Il primo tema suona come una processione feroce, nella parte centrale un valzer da caricatura, sullo sfondo degli strumenti a fiato imitanti l’organetto.
Franz Schubert – Sinfonia n. 3 D. 200
I. Adagio maestoso – Allegro con brio
II. Allegretto in sol maggiore
III. Menuetto. Vivace
IV. Presto vivace
Questa deliziosa Sinfonia Franz Schubert l’ha composta, pare, in sostanza in nove giorni dell’estate 1815, pochi mesi dopo il suo diciottesimo compleanno. La Sinfonia fu originariamente concepita per essere eseguita da un’orchestra non professionistica diretta dal violinista Josef Prohaska. In questa orchestra Franz Schubert suonava la viola e si suppone che la Sinfonia fu eseguita per la prima volta in privato, probabilmente dall’orchestra del Convitto, alle cui possibilità era evidentemente destinata. In parallelo con questa musica Schubert era occupato dalla composizione di ben 145 Lieder e da altri lavori importanti, come Quartetto vocale Hymne an den Unendlichen e a vari lavori teatrali tra cui il Singspiel Claudine von Villa Bella. Ovviamente anche in questa Sinfonia, come in tutte partiture giovanili composte fra il 1813 e il 1818, egli segue i modelli di Haydn e di Mozart, inventando però già qui incantevoli melodie, degne del suo personalissimo genio, e trasformando i ritmi popolari in spiritosi e spigolosi scherzi.
Come quasi tutte le Sinfonie di Schubert anche la Terza si apre con un adagio introduttivo, qui un breve Adagio maestoso che sfocia nell’Allegro con brio: tra clarinetto ed oboe si svolge subito un discorso nello stile di Rossini (ancora prima del Finale, la tarantella tutta italiana rossiniana!). Non c’è movimento lento, ma un Allegretto nella più semplice forma ternaria. Giorgio Pestelli, descrivendo il terzo movimento, dice che “il Minuetto … strapazza un po’ la cerimoniosità della vecchia danza; nel Trio intermedio, oboe e fagotto, a braccetto come due vecchi bricconi, abbozzano un passo di danza, qualche riverenza, ma si sente subito che muoiono dalla voglia di ridere”. Come si diceva prima, il Finale è proprio alla tarantella (Presto vivace), una pagina brillante e virtuosistica che potrebbe essere considerata la anticipazione della “soleggiata Italiana di Mendelssohn”.
La Sinfonia fu pubblicata solo nel 1884 dalla casa editrice Breitkopf & Härtel con l’Edizione completa di tutte le Sinfonie di Franz Schubert redatta da Johannes Brahms. La prima esecuzione pubblica ebbe luogo il 19 febbraio 1881 a Londra nell’ambito di un’esecuzione di tutte le Sinfonie di Franz Schubert curata dallo studioso George Grove.