Venerdì 3 settembre – ore 18.30
Villa Romana delle Grotte | Portoferraio

David Grimal, Jonian Ilias Kadesha, Liana Gourdjia, violini | Georgy Kovalev, Sào Soulez Larivière, viole | Raphael Bell, Konstantin Pfiz, Vashti Hunter, violoncelli | Amerigo Bernardi, contrabbasso

J. S. Bach Invenzioni a due voci BWV 772-786 (selezione, arr. per violino e violoncello)
M. Ravel Sonata in do maggiore per violino e violoncello
Allegro
Très vif
Lent
Vif, avec entrain
R. Strauss Metamorphosen versione per settimino d’archi (arr. di R. Leopold)

 

Tra le composizioni strumentali di Purcell (1659-1695) spiccano diverse importanti raccolte cameristiche, tra cui appunto le deliziose Fantasie, una serie di pezzi per soli archi (sono complessivamente quindici) da tre a sette voci, tutte caratterizzate da una grande dolcezza melodica e da un colore tutto interiore e quasi preromantico. La loro forma è estremamente libera e costituiscono uno dei lavori più personali e originali che Purcell abbia dato alla musica. La musica da camera di Henry Purcell può essere divisa in due parti: la prima è costituita dalle Fantasie per archi, composte probabilmente nel 1680; la seconda – da due raccolte delle Sonate per due violini, basso e basso continuo, pubblicate rispettivamente nel 1683 e 1697. Nelle Fantasie per archi Purcell era ancora condizionato dalle tradizioni musicali, mentre nelle Sonate si inizia a notare la conquista del nuovissimo stile italiano. Le Fantasie oppure “Fancy” come venivano chiamate in Inghilterra, raggiusero enorme popolarità verso la fine del XVI secolo e la mantennero fino alla fine del XVII secolo. A differenza di quei madrigali che per motivi pratici si pubblicavano con l’indicazione “adatti per la voce oppure per le viole”, la Fantasia apparteneva alla musica strumentale pura, anche se le sue radici si piantavano ancora nell’antica polifonia vocale. Il titolo stesso indica il carattere della musica e la sua destinazione. Qui il compositore non era limitato severamente dalla tecnica del cantus firmus, utilizzato nelle opere del tipo “In Nomine” (cioè provenienti dalla messa), mentre nel “Fancy” l’autore poteva dare libertà alla propria immaginazione. L’esempio fondamentale della sua composizione era l’imitazione, un tema semplice veniva elaborato con l’aiuto di tutti i mezzi conosciuti dai contrappuntisti dell’epoca. I canoni, rovesciati, aumentati o diminuiti, venivano adoperati nelle combinazioni raffinate; quando invece le possibilità espressive del primo tema venivano esaurite, lo si sostituiva inserendo un secondo tema. Ci troviamo davanti i precursori della Fuga del XVIII secolo e Purcell sicuramente possedeva un particolare ed innovativo talento di immaginazione creativa.
La Sonata per violino e violoncello di Maurice Ravel nasce come omaggio a Claude Debussy, scomparso nel 1918, e fa parte del numero speciale Tombeau de Debussy del Revue musicale, che conteneva brani composti appositamente da Stravinskij, Béla Bartók, Paul Dukas, Eric Satie e Manuel de Falla. Forse la loro presenza determinò le scelte compositive di Ravel o forse egli volle sfidare sé stesso, fatto sta che in questa Sonata cercheremo inutilmente le magiche armonie raveliane o i tipici motivi spagnoleggianti. “Credo che questa sonata segni una svolta nell’evoluzione della mia carriera. La spoliazione vi è spinta all’estremo e comporta la rinuncia al fascino dell’armonia, in orientamento sempre più pronunciato in direzione della melodia”, – parole dell’Autore. Il 6 aprile 1922 alla Salle Pleyel di Parigi ebbe luogo la prima esecuzione della Sonata con la violinista Hélène Jourdan-Morhange, cara amica di Ravel, e il violoncellista Maurice Maréchal. Il pubblico fu sgradevolmente colpito dalle dissonanze dell’opera, dai suoi ritmi instabili, dai timbri decisamente innovativi degli strumenti, e non comprese la straordinaria modernità quasi bartokiana di questo capolavoro.
Compositore ed etnomusicologo ungherese Zoltán Kodály fu, insieme a Bartók, uno dei principali fautori del recupero del patrimonio musicale popolare. Figlio di un ferroviere, passò l’infanzia in diverse città di provincia venendo a contatto con le musiche tradizionali locali. Sin da giovane studiò pianoforte, violino, viola, violoncello e altrettanto precocemente scrisse le sue prime composizioni, come l’Intermezzo per Trio d’archi (1905), un brano breve dal carattere di un canto popolare con accompagnamento pizzicato, di estrema semplicità e sincerità.
Sembra che fin dall’inizio Richard Strauss avesse intenzione di scrivere Metamorphosen per un sestetto d’archi più contrabbasso, ma poi, su commissione di Paul Zacher, lo trasformò in un lungo brano (circa 28’) per ben 23 strumenti. Il manoscritto della versione breve fu scoperto in Svizzera nel 1990 e nel 1996 la partitura fu pubblicata come Settetto nell’arrangiamento del violoncellista Rudolf Leopold. Metamorphosen è l’ultima composizione di Strauss; pochi giorni dopo il suo completamento attorno al 12 aprile 1945 egli scrisse nel suo diario privato: “Il periodo più terribile della storia umana è finito, un regno di dodici anni di bestialità, ignoranza e anti-cultura sotto il governo dei più grandi criminali, regno durante il quale i 2000 anni di evoluzione culturale della Germania hanno incontrato il loro destino”. Aggiungerei la frase conclusiva del romanzo di Thomas Mann Doctor Faustus: “Dio sia clemente alle vostre povere anime, o amico, o patria!” Alla fine di Metamorphosen, Strauss cita le prime quattro battute della Marcia Funebre dell’Eroica di Beethoven con la scritta “In memoriam”. Metamorphosen è il magistrale lavoro di contrappunto per il quale il compositore mostrò una predilezione per tutta la sua vita creativa. Lo stesso Strauss non ha mai commentato il significato dell’opera, al di là del titolo (che significa “cambiamenti” o “trasformazioni”).

Commento a cura di Valerij Voskobojnikov