Sabato 2 settembre – ore 18.30

Chiesa dei SS. Giacomo e Quirico | Rio

Solisti del Festival - Martinů, Bridge, Mozart

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Informazioni

Chiara Sannicandro, Diet Tilanus violini | Georgy Kovalev, David Quiggle viole | Raphael Bell violoncello
B. Martinů Duetto per violino e viola "Tre Madrigali" H. 313
F. Bridge Lament per due viole (1912)
W.A. Mozart Quartetto per archi K. 421

Bohuslav Martinů (1890 – 1959) – Duetto per violino e viola “Tre Madrigali” H. 313
I. Poco allegro. Poco vivo
II. Poco andante. Andante moderato
III. Allegro. Moderato

Bohuslav Martinů, con Janácek il più importante esponente della musica ceca del XX secolo, eccellente compositore in diversi generi, dalle opere teatrali alle sinfonie e ai quartetti d’archi, matura uno stile prettamente individuale nel quale i contenuti tradizionali della sua terra sono rivisti in chiave moderna, anche con influenze di stampo jazzistico.
Nato in una modesta famiglia di Polička, Moravia. Il padre faceva il calzolaio e il campanaro, quindi il piccolo Bohuslav crebbe in una altissima torre della chiesa di San Giacobbe sentendo da vicino le campane e l’organo, e osservando una distesa di pianura. Disse in seguito che questo immenso spazio osservato dall’alto rappresentava per lui l’immagine più memorabile, e forse giocò il ruolo più importante nel suo atteggiamento verso la composizione. Martinů mostra sin dall’infanzia uno spiccato talento musicale; inizia a studiare il violino all’età di sette anni, e a dieci scrive le sue prime composizioni. Nel 1906 è ammesso al Conservatorio di Praga, da cui qualche anno più tardi viene espulso per motivi disciplinari. Dal 1913 suona come secondo violino nell’Orchestra Filarmonica Ceca; in questo periodo si perfeziona con Josef Suk.
Nel 1923 Bohuslav Martinů si trasferisce a Parigi; qui abbandona lo stile romantico orientandosi verso il neoclassicismo sviluppato da Stravinskij, sperimenta espressionismo e costruttivismo e adotta espressioni jazzistiche. Partecipa a quella comunità di artisti conosciuta come l’École de Paris. Artista povero a Parigi negli anni ’20, esiliato a New York per sfuggire alla Gestapo perché ricercato quale fervente sostenitore della Resistenza Ceca, raggiunge gli Stati Uniti vivendo in diverse città. Rimane nel New Jersey fino al 1943 insegnando composizione all’Università di Princeton. Nel 1947 sta per tornare finalmente a Praga ed occupare il posto di insegnante di composizione al Conservatorio. Questo suo programma fallisce improvvisamente a causa di una caduta rovinosa con conseguente trauma cranico che gli impedisce di partire; intanto, a Praga, il Partito Comunista prende il potere e già dall’estate del 1947 inizia a reprimere ogni forma di dissenso. Soggiorna in Italia, a Roma, tra il 1953 e il 1955, poi in Svizzera, a Liestal, dove si spegne per un cancro allo stomaco.
Bohuslav Martinů è un compositore prolifico, il suo catalogo elenca quasi 400 opere. La sua produzione musicale comprende una decina di lavori per il teatro, tra cui “Juliette” rappresentata con gran successo a Praga nel 1938, balletti, sei sinfonie, brani per orchestra, per pianoforte solo, musica da camera e vocale. Il suo stile, personalissimo e variegato, scaturisce da un amalgama di melodie popolari boeme e morave, con accenti impressionistici e neoclassici, elementi ritmici della musica jazz e della vocalità negro-americana.
Impossibilitato a scrivere opere su vasta scala a causa del trauma subito, si dedica alla composizione per piccoli ensemble strumentali; in questo lavoro è aiutato dai fratelli Fuchs, suoi amici, Lillian violista e Joseph violinista. I “Tre Madrigali”, il cui titolo tradisce l’interesse specifico di Martinů per la musica antica, rappresenta la manifestazione della caparbia volontà del compositore di continuare a scrivere musica nonostante le traversie che, in quegli anni trascorsi lontano dalla patria, segnano la sua vita. Viene eseguito il 22 dicembre 1947 a New York dai due dedicatari. Le linee musicali, polifoniche e generalmente indipendenti, creano una presenza importante nonostante l’esiguità dell’ensemble strumentale. I tre movimenti, indicati come Poco Allegro, Poco Andante e Allegro, hanno caratteri diversi. Alquanto animato è il movimento d’apertura, misterioso e ricco di colore è quello centrale, mentre il movimento finale unisce danza popolare americana (hoedown, un omaggio ai Fuchs?), a echi delle “Invenzioni” di Bach. Volto neoclassico di un termine connotato come madrigale deve interrogarci tanto più da quando Martinů lo usava frequentemente nella sua musica da camera, e che qua e là traccia ponti con la polifonia inglese del XVI secolo, ma soprattutto con Mozart e Haydn la cui maestranza violino/viola evoca alcune delle opere.
Da notare che una parte dell’eredità creativa di Martinů rimane nell’ambito delle tendenze della cultura musicale occidentale europea. Questi Tre Madrigali rispecchiano ad esempio l’interesse del compositore per lo stile neoclassico, con la sua intenzione di ritornare alla musica del passato e rivalutarla. Il genere stesso dei canti polifonici a cappella, con il raffinato intreccio delle voci nell’epoca del Rinascimento, in seguito si sono trasformati in melodie con l’accompagnamento: nel XX secolo questa antica forma dei Madrigali ha potuto perdere completamente la parte vocale, affidata ai diversi strumenti.

 

Frank Bridge (1879-1941) – Lament per due viole (1912)

Frank Bridge – Compositore inglese, allievo di Sir Charles Villiers Stanford. Ha guadagnato fama come direttore dell’orchestra “Covent Garden” e violista. I primi lavori – la suite orchestrale “The Sea” (The Sea, 1911), il poema sinfonico “Summer” (Summer, 1914), un certo numero di ensemble strumentali da camera, sono stilisticamente legati alla musica dei romantici inglesi. Dopo la Prima guerra mondiale nell’opera del Bridge ci sono stati grandi cambiamenti. I quartetti per archi n. 3 (1926) e n. 4 (1937) sono scritti in un linguaggio complesso, essenzialmente atonale, e testimoniano l’influenza di Berg, mentre la loro musica rimane inglese nello spirito. Tra le altre opere degne di nota del Bridge maturo e tardo ci sono la rapsodia orchestrale Enter Spring (1927), Oration per violoncello e orchestra (1930), Phantasm per pianoforte con orchestra (1931), suite per archi (1941). La musica di Bridge, nonostante i tentativi dei singoli interpreti di suscitare l’interesse del pubblico, è sempre rimasta nell’ombra.
Nel 1901 il ventiduenne Frank Bridge era impegnato in un corso di studio al Royal College of Music sotto la direzione del notoriamente intrattabile Sir Charles Villiers Stanford, un’esperienza che il giovane compositore ricordò tutta la vita. Tuttavia, il giovanile Quintetto per Archi in mi minore che data questi anni non tradisce l’aria viziata di un’aula, ma piuttosto la verve di Brahms, Dvorak ed Elgar ed anche un senso del ritmo tipicamente russo.
I primi lavori di Bridge – quelli scritti prima della Prima guerra mondiale – erano in stile più tardo romantico, calorosamente espansivi, rispetto ai suoi lavori maturi. The Lament for Two Violas è stato scritto per lui e Lionel Tertis per esibirsi alla Wigmore Hall nel marzo 1912. In origine c’erano due pezzi – Caprice e Lament – di cui il primo è andato perduto. Paul Hindmarsh ha modificato questo spartito da schizzi e bozze. Il risultato è una delle composizioni più personali del compositore, e Bridge estrae dalle due viole alcuni dei più lirici ed indimenticabili dialoghi mai scritti. È un’opera profondamente sentita, che intreccia le voci quasi umane delle viole in un’opera che è più riflessiva che afflitta dal dolore, ma non per questo meno efficace.
Bridge è soprattutto ricordato per il tutoraggio privato dato a Benjamin Britten, che in seguito sostenne la musica del suo maestro e gli rese omaggio nelle Variazioni su un tema di Frank Bridge (1937), composte sulla base di un tema dal secondo dei Tre Idilli per quartetto d’archi (1906). Britten fu allievo di Bridge solo per la composizione, tuttavia sostenne apertamente che nel 1963 si sentiva ancora di “non aver raggiunto” gli standard tecnici che gli aveva fissato Bridge. Quando Britten si recò negli Stati Uniti con Peter Pears nel 1939, Bridge gli consegnò la sua viola Giussani e gli augurò buon viaggio e buon ritorno. Bridge morì nel 1941 senza aver rivisto Britten.

 

W.A. Mozart – Quartetto K. 421
I. Allegro moderato
II. Andante
III. Menuetto and Trio. Allegretto
IV. Allegretto ma non troppo

Il concerto odierno, a mio avviso, contiene le pagine più commoventi, non solo per il titolo precedente ed il carattere delle musiche, ma anche per la testimonianza di un rapporto assolutamente unico nella storia tra i due geniali compositori: Mozart e Haydn. Vi riporto alcune parole arrivate a noi pronunciate e scritte tra loro due reciprocamente.
Il quartetto per archi n. 15 in re minore K 421 è il secondo dei sei quartetti dedicati ad Haydn (K 387, K 421, K 428, K 458, K 464, K 465), terminato nel giugno del 1783. Secondo Henri de Curzon, il quartetto fu scritto nella notte durante la quale la moglie di Mozart, Constanze, diede alla luce il loro primo figlio, Raimund Leopold, deceduto due mesi dopo. Il padre del compositore, Leopold, considerava questo quartetto, insieme al K 387, tra i più impegnativi sotto l’aspetto compositivo e interpretativo. Il quartetto K 421 è certamente il lavoro più drammatico e cupo dei sei quartetti in esame. Il carattere intimistico e la totale mancanza di esteriorità sembrano anticipare le composizioni di Schubert. Il Quartetto K 421 è improntato a uno stato d’animo che si mantiene cupo fino al trio del Minuetto, per abbandonarsi talvolta a quella mortale tristezza romantica tanto cara a Schubert e rimanere avvertibile persino negli accenti più chiari dell’Andante in fa maggiore, esasperandosi ulteriormente nel finale fino a sfociare, con l’ultima variazione, in una tragica chiusa. (Da Paumgartner)
Il primo movimento (Allegro moderato) inizia con un suggestivo tema che viene elaborato in modo virtuosistico e contrappuntistico dai violini, e raggiunge momenti di grande drammaticità. L’Andante presenta armonie e suoni aspri che attenuano l’andamento pieno di grazia della melodia. La struttura è quella della forma-sonata. Il Minuetto è il movimento dove ci si allontana di più dal convenzionale, dalla danza, dal suono energico, per presentare toni drammatici e di racchiusa sofferenza. L’Allegretto ma non troppo che chiude la composizione è quasi un omaggio attribuito ad Haydn; Mozart infatti scrive, sul tema alla siciliana, una serie di variazioni così come aveva inaugurato il più anziano compositore nel finale del quartetto per archi op. 33 n. 5.

La dedica di Mozart: Al mio caro Amico Haydn
“Un Padre, avendo risolto di mandare i suoi figli nel gran Mondo, stimò doverli affidare alla protezione e condotta d’un Uomo molto celebre allora, il quale per buona sorte, era per di più il suo migliore Amico. Eccoti dunque del pari, Uomo celebre, ed Amico mio carissimo, i sei miei figli. Essi sono, è vero, il frutto di una lunga e laboriosa fatica, pur la speranza fattami da più Amici di averla almeno in parte compensata, m’incoraggia, e mi lusinga, che questi parti siano per essermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso Amico carissimo, nell’ultimo tuo Soggiorno in questa Capitale, me ne dimostrasti la tua soddisfazione. Questo tuo suffragio mi anima sopra tutto, perché Io te li raccomandi, e mi fa sperare che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo favore. Ti piaccia dunque accoglierli benignamente; ed esser loro Padre, Guida ed Amico! Da questo momento, Io ti cedo i miei diritti sopra di essi: ti supplico però di guardare con indulgenza i difetti, che l’occhio parziale di Padre mi può averli celati, e di continuar loro malgrado, la generosa tua Amicizia a chi tanto l’apprezza, mentre sono di tutto Cuore, Amico Carissimo,
il tuo Sincerissimo Amico W. A. Mozart
Vienna il p.mo Settembre 1785

Mentre il giornale viennese “Wiener Zeitung” del gennaio 1787 recensisce con questi toni i Quartetti op. X:
“Peccato che Mozart, nel suo intento artistico veramente encomiabile di diventare soltanto un creatore nuovo, si sia spinto troppo in alto, e non certo a vantaggio del sentimento e del cuore. I suoi nuovi Quartetti sono troppo drogati. A lungo andare, quale palato riesce a tollerarli”.

La lettera di Haydn al padre di Mozart: “Je vous affirme, devant Dieu, en honnête homme, votre fils est le plus grand compositeur que je connaisse, en persone ou de réputation; il a du goût et, en outre, la plus grand science de la composition.
“Vi affermo, davanti a Dio, da uomo onesto, vostro figlio è il più grande compositore che io conosca, di persona o di fama; ha gusto e, inoltre, la più grande scienza della composizione”.

Haydn così scrive a un maestro di cerimonie a Praga (tale Franz Roth, o Rott) nel dicembre del 1787:
“Se ad ogni amico della musica, e specialmente ai Grandi, io potessi imprimere nell’animo gli impareggiabili lavori di Mozart e far sì che tutti li sentissero come io li comprendo e li sento, tutte le nazioni andrebbero a gara per avere entro i loro confini un simile gioiello. Perdonate se divago: ma quell’uomo mi è troppo caro”.

Commento a cura di Valerij Voskobojnikov