Lunedì 30 agosto – ore 18.30
Villa Romana della Linguella | Portoferraio

Filippo Gorini, pianoforte | Liana Gourdjia, violino | Georgy Kovalev, viola | Vashti Hunter, violoncello |
Quartetto Lyskamm (Cecilia Ziano, violino | Clara Franziska Schötensack, violino | Francesca Piccioni, viola | Giorgio Casati, violoncello)

R. Schumann Quartetto per pianoforte e archi op. 47
Sostenuto assai. Allegro
Scherzo. Molto vivace. Trio I et II
Andante cantabile
Finale – Vivace
J. Brahms Quintetto per pianoforte e archi op. 34
Allegro non troppo
Andante, un poco Adagio
Scherzo. Allegro e Trio
Finale. Poco sostenuto. Allegro non troppo

 

Dopo aver ricevuto da Liszt il consiglio di dedicarsi alla creazione di musica d’insieme, poiché era facilmente prevedibile che ben presto il pianoforte sarebbe divenuto un mezzo espressivo “troppo limitato per lui”, Schumann con una velocità sorprendente scrisse di seguito: i tre Quartetti dell’op. 41, il Quintetto op. 44 (in sei giorni!) e il Quartetto con piano op. 47 (addirittura in cinque giorni). Siamo nel 1842, Robert Schumann è già autore di numerosi capolavori per pianoforte, strumento al quale non rinuncia nemmeno nei menzionati Quartetto e Quintetto, però qui, insieme agli strumenti ad arco, riesce a raggiungere effetti quasi orchestrali. Diciamo subito che nel Quartetto op.47 sconvolge e commuove soprattutto il terzo movimento, Andante cantabile: una vera confessione d’amore, con un tema esposto inizialmente dal violoncello ma poi elaborato da tutti gli strumenti in sei variazioni, fino ad arrivare all’incredibile Coda, dove sul doppio pedale del violoncello sulla tonica in ottava, altri tre interpreti creano un accordo di straordinaria modernità, che è composto dalle note del tema del Finale successivo. Nello Scherzo con due trii è riscontrabile una vaga influenza mendelssohniana, e il primo trio potrebbe far pensare a una “romanza senza parole” se certe inquiete “sincopi” non tradissero chiaramente un accento nervoso tipicamente schumanniano. Ma le sorprese ci sono fin dall’inizio: il Sostenuto assai è un breve “motto” dal quale scaturisce il tema principale, energico e brillante. Nel Finale Vivace, libero intreccio di forma sonata e rondò, ritorna prepotentemente in primo piano il contrappunto, con la ripresa dei temi già sentiti sia nel primo che nel terzo movimento, raggiungendo sonorità davvero potenti. Il nostro pubblico, nel quale sicuramente ci saranno molti appassionati ascoltatori di Radio3, riconoscerà nel Finale la sigla dei tradizionali Concerti domenicali al Quirinale.
Il Quintetto di Brahms, un’opera di straordinaria potenza espressiva, di tensione drammatica e persino tragica nel Finale, dalle sonorità quasi orchestrali, è stato “partorito” tra molte difficoltà e incertezze, risultando alla fine riuscitissimo e fin da subito apprezzato dalla fidata cerchia di amici del compositore, tra qui figura ad esempio Clara Schumann. Venne composta prima la versione per il quartetto d’archi, poi trasformato in una Sonata per due pianoforti, il Quintetto fu pronto solo tre anni dopo, nel 1864, ed ebbe questa valutazione dell’ottimo musicista Hermann Levi, che aveva seguito insieme a Clara la trascrizione per due pianoforti: “Da una composizione monotona per due pianoforti avete tratto un’opera di grande bellezza… che non si ascoltava nulla di simile dal 1828”, ovvero dall’anno della morte di Schubert. In tutti e quattro movimenti prevale il carattere “nordico”, da ballata, più cantabile da ninnananna nell’Andante, ma per nulla “leggero” nello Scherzo dove si sentono i ritmi da marcia, che si alternano con i ritmi ternari e viene usato il tema del primo movimento. I due movimenti estremi sono di gran lunga più vasti e determinano la grande forza, la virilità e l’autentica monumentalità di questa geniale musica piena di passione, maestria e tenerezza.

Commento a cura di Valerij Voskobojnikov