Da varie fonti risulta che Napoleone fu un grande ammiratore di Franz Joseph Haydn: è noto l’episodio in cui, durante l’occupazione di Vienna da parte delle sue truppe, nel maggio 1809, mise un picchetto d’onore in segno di rispetto davanti alla casa del compositore morente, in Kleine Steingasse. Il compositore in quei giorni era ormai invalido: ma nonostante la debolezza, ogni mattina si alzava e andava al pianoforte per eseguire, in segno di protesta contro l’aggressore, l’Inno dell’Austria composto da Haydn stesso nel mese di gennaio 1797 al ritorno dall’Inghilterra, dove rimase assai impressionato dall’inno nazionale God Save the Queen. Allora, tornando a Vienna, il compositore austriaco decise che nel suo paese regnava, a causa della disfatta nella guerra contro Napoleone, una generale depressione spirituale, e che bisognava tirare su il morale del popolo con una canzone di forte carattere patriottico. Nel gennaio del 1797 egli mise in musica una breve poesia di Ledopold Haschka “Gotte erhalte Franz den Kaiser”, che fu immediatamente approvata dal popolo e dalle autorità e dal 12 febbraio 1797 fino al 1918, fino alla fine della monarchia, rimase l’inno nazionale. Su questa base musicale viene attualmente cantato Das Lied der Deutschen, inno della Repubblica Federale Tedesca. Così, i russi cantano sulla musica di Aleksandr Aleksandrov, gli italiani su quella di Michele Novaro, mentre i tedeschi hanno la musica di Franz Joseph Haydn.
Ora, durante il mese di maggio del 1809, Vienna era assediata dell’esercito francese e qualche proiettile cadde proprio nei pressi della casa di Haydn: la servitù si spaventò molto ma “papà Haydn” li tranquillizzò dicendo che finché c’era lui, alla casa non sarebbe successo niente di brutto. Ciononostante, mentre il bombardamento continuava, il vecchio compositore (77 anni) abbandonò questo mondo, la mattina del 31 maggio 1809: il suo cuore non sopportò la violenza e il rumore assordante delle esplosioni. Nella città dove padroneggiavano i soldati francesi, per molti giorni non si seppe della scomparsa del geniale musicista, il suo funerale passò quasi inosservato, e il 15 giugno in onore del compositore si tenne una messa funebre con l’esecuzione del Requiem di Mozart. Pare che l’Imperatore abbia ordinato di essere rappresentato da qualche suo alto ufficiale, non partecipando alla cerimonia in prima persona.
Ancora qualche dato storico rinvenuto qua e là sugli intrecci biografici tra la vita del grande compositore austriaco e quella dell’Imperatore: nel catalogo delle opere di Haydn (costato 30 anni di paziente lavoro al musicologo olandese Anthony van Hoboken), pubblicato nel 1957, risultano “di dubbia attribuzione” due Marce che Haydn avrebbe scritto in onore di Napoleone, Napoleons Siegesmarsch e Napoleon Marsch, con il seguente organico: 2 clarinetti, 2 fagotti, un serpentone (una specie di cornetto), 2 corni, tromba e percussioni. Le Marce sono state pubblicate nel 1795 sulla rivista “Diletto musicale” da un editore privato.
La prima delle sei Messe scritte da Haydn nel 1796 in Do maggiore fu soprannominata “Missa in Tempore Belli”, perché nel periodo della sua composizione l’esercito di Napoleone, spostandosi verso la frontiera austriaca, invase il Nord Italia. Haydn vi usò, in particolare nell’Agnus dei, il canto ecclesiastico, mentre le trombe e tamburi dovrebbero creare delle associazioni con la guerra. Più tardi, nel 1800, Haydn fu invitato ad assistere alla prima parigina dell’oratorio Creazione del mondo (Die Schöpfung), ma a causa del conflitto tra l’Austria e la Francia non poté essere presente: del resto la sua salute, all’età di 68 anni, non avrebbe retto un viaggio così impegnativo. Il concerto si tenne il 24 dicembre 1800, tutti i biglietti vennero venduti con 15 giorni di anticipo e l’esecuzione ebbe un enorme successo. Napoleone si stava recando a teatro per assistere a questa storica “prima”, ma durante il viaggio, mentre la sua carrozza percorreva la rue Saint-Nicaise, esplose una potente bomba che costò la vita a cinque persone, mentre altre ventisei rimasero gravemente ferite. Napoleone e la moglie Giuseppina sfuggirono per un soffio alla morte.
Per concludere riporto dai Diari del grande pianista Svjatoslav Richter un suo consiglio: “Ascoltate più spesso i quartetti di Haydn. Ne trarrete molto piacere e utilità (probabilmente anche per la salute)”.
Helmut Schulz, revisore della edizione moderna del Doppio Concerto, del 1937, scrisse: “Come compositore, autore di sinfonie, Haydn aveva le idee molto chiare dell’evoluzione dei propri compiti in questo genere, mentre nel genere del concerto e in tutta la forma del concerto egli era piuttosto moderato, e forse addirittura si sforzava di scriverli. Lo sviluppo del virtuosismo nella parte solistica lo attraeva assai meno che i suoi successori, in particolare quelli romantici. Nemmeno il famoso Concerto in Re maggiore per pianoforte costituisce un’eccezione. Ma non possiamo ignorare comunque i suoi Concerti, anche perché sono numerosi. Come in tutto Haydn, anche nei Concerti colpisce la freschezza nel ritmo e nella grazia dentro una costruzione estremamente solida e precisa”.
Il Doppio Concerto fu scritto da Haydn nel 1766 contemporaneamente con le prime Sonate e Concerti per clavicembalo ed organo. In originale le parti soliste si destinavano a violino e organo, ma nei nostri tempi moderni si è rafforzata la tradizione dell’esecuzione con violino e pianoforte. Composto nella tradizionale struttura tripartita, il Concerto dimostra più gli aspetti di un “concerto grosso” da barocco, ma di fatto rappresenta una nascente variante della sinfonia concertante. Da notare che lo stile individuale di Haydn qui non si è ancora cristallizzato appieno: la maestria del fondatore della classica scuola viennese si manifesta soprattutto nel dialogo d’insieme delle parti soliste. Il loro duetto ricorda una divertente conversazione dei due interlocutori alla pari, sostenuta dal piccolo “coro di ascoltatori” dell’orchestra d’archi.
I 150 anni dalla nascita di Sergej Rachmaninov e gli 80 anni dalla morte si celebrano in tutto il mondo. Geniale compositore, pianista e direttore d’orchestra russo, noto anche per la sua emigrazione in occidente dopo la rivoluzione, vissuto negli Stati Uniti e in Svizzera, è autore di tre sinfonie, di quattro Concerti per pianoforte e orchestra e della Rapsodia su un tema di Paganini sempre per pianoforte e orchestra, di tre opere – Aleko, Il Cavaliere avaro e Francesca da Rimini, di poemi sinfonici, di Sonate per pianoforte e per violoncello e pianoforte, di due Trii, di numerose opere di carattere liturgico, di cori, di molte romanze e soprattutto di straordinarie composizioni per il suo strumento preferito, il pianoforte. Nel corso del nostro Festival ascolteremo due sue opere giovanili: il Trio elegiaco op.9 e la Sonata per violoncello e pianoforte op.19.
All’ingresso nella Sala Piccola e nell’edificio didattico del Conservatorio di Mosca, ancora oggi si può vedere la targa sulla quale sono riportati i nomi dei musicisti che nel corso degli anni hanno completato gli studi con la medaglia d’oro: la lista parte dal 1875 e si interrompe con il nome di Svjatoslav Richter nell’anno 1949. Il nome di Rachmaninov appare nell’anno 1892 come insignito dalla grande medaglia d’oro per la composizione, mentre il suo diploma di pianoforte risale all’anno precedente. Studente di Anton Arenskij, il giovanissimo Rachmaninov naturalmente adora la musica e la personalità di Petr Il’ič Čajkovskij, il quale apprezza molto il suo talento e addirittura, assistendo ai suoi esami, aggiunge ben tre segni più nel suo giudizio all’esame di teoria, e poi elogia la sua breve opera Aleko (composta in 17 giorni!) chiedendo persino al giovanissimo autore di autorizzarne la rappresentazione al teatro Bol’šoj nella stessa serata insieme alla sua breve opera Iolanta! La prima di Aleko ebbe luogo a Mosca il 27 aprile 1893 in presenza del grande Čajkovskij. Nel frattempo Rachmaninov compone la Suite per due pianoforti, la fantasia sinfonica Roccia, inizia la carriera di pianista e direttore d’orchestra… All’improvviso il 25 ottobre dello stesso anno 1893 a Pietroburgo muore il suo ideale musicale, il carissimo Petr Il’ič. Questa misteriosa e davvero improvvisa scomparsa ancora oggi suscita la curiosità dei musicologi, e non tutti sono convinti dalla spiegazione che fu data all’epoca: che il grandissimo compositore russo sarebbe stato contagiato dal virus del colera, attraverso un bicchiere d’acqua non bollita assunto in un ristorante. Sconvolto dall’accaduto, Sergej Rachmaninov pensa subito all’omaggio da dedicare al suo “idolo e protettore”, e decide di percorrere una strada simile a quella che Čajkovskij stesso ha percorso per ricordare a sua volta l’amico Nikolaj Rubinstein, deceduto a Parigi nel 1881. Si tratta del famoso Trio “In memoria del grande artista” composto da Petr Il’ič durante il suo soggiorno negli stessi anni 1881-1882 a Roma. Questa composizione fa da modello per Rachmaninov ma certamente nel suo Trio elegiaco op.9 già si sente molto forte la sua grande personalità, soprattutto nella parte pianistica ma anche nella invenzione dei temi, nella creazione del clima generale, nelle melodie strazianti e nella pulsazione ritmica.
E’ evidente la somiglianza nella costruzione del Trio: il primo movimento Moderato è scritto in forma di Allegro di Sonata, mentre il secondo blocco rappresenta una serie di variazioni in libero sviluppo; infine il terzo Allegro risoluto si conclude con la funerea Coda basata sul tema dell’inizio. Si nota indubbiamente la maestria di un grande compositore-pianista, a partire dalla scelta della tonalità di re minore, quella del Terzo Concerto, delle Variazioni sul tema di Corelli. Il Trio si apre con la figura ostinata discendente del pianoforte che sottolinea lo stato di dolore; l’intonazione della quarta diminuita do-sol diesis-do ha un ruolo dominante come leitmotiv. Il tema principale, esposto con il timbro scuro del violoncello, e replicato subito dal violino, crea l’immagine tragica di un dolore concentrato. Appaiono altri tre temi: quello secondario è severo, ritmato, e inizia con energici accordi del pianoforte. Lo sviluppo contiene diversi episodi – Presto, Meno mosso, Allegro molto, nei quali si arriva alla massima disperazione; dopo la cadenza del pianoforte, avviene la ripresa Andante. Momenti di drammaticità si alternano con episodi di rassegnazione e di Maestoso, che ben due volte evoca i corali liturgici. Nella Coda gli archi riprendono la figurazione iniziale del pianoforte.
Come nel Trio di Čajkovskij il 2° movimento è un Tema con variazioni, intitolato esattamente Quasi variazione: il tema di Rachmaninov pure è di carattere molto russo, qui esposto dal pianoforte solista come un antico canto corale. La 1a variazione Allegro è un semplice dialogo tra due archi sostenuto dal pianoforte. La 2a variazione Lento è per pianoforte solo, assomiglia al tema; la 3a Allegro scherzando offre spazio al virtuosismo; la 4a richiama immagini d’infanzia, paesaggi russi, anche qui si nota la somiglianza con il canto liturgico; la 5a ritorna al clima dolente, episodio centrale per pianoforte solista assomiglia alla tempesta di neve; mentre la 6a è un contrasto in tonalità di maggiore. Nella 7a Andante di nuovo regna la tristezza, al centro sentiamo il duetto del violino e violoncello, una quasi improvvisazione in stile popolare; la 8a Variazione sembra portare un po’ di speranza e di luce, ma invano… Il finale Allegro risoluto è breve ed estremamente emozionante: il pianoforte è molto possente, gli archi esplodono disperati, la fattura sonora è molto densa. Dopo una forte protesta contro la tragedia che si avvicina, tornano dal primo movimento sia i leitmotiv che la figura ostinata discendente dal pianoforte, e poi viene fuori la citazione dalla liturgia ortodossa “So svjatymi upokoj” (Riposa con i Santi).
In conclusione sottolineo che la tradizione commemorativa con la forma del Trio per violino, violoncello e pianoforte nella musica russa e poi sovietica è continuata con Arenskij, che compose il Trio “À la mémoire de Charles Davidoff”, il celebre violoncellista Karl Davydov; con Šostakovič, il suo famoso Trio in memoria dell’amico Ivan Sollertinskij; con Georgij Sviridov, autore del Trio composto nel 1945 alla fine della seconda guerra mondiale, che contiene una Marcia funebre; il Trio di Arno Babadžanyan è stato eseguito durante i funerali di Stalin. Infine di recente ho scoperto, mentre stavo scrivendo una nota per la nuova Enciclopedia Treccani sul compositore russo di origine ebraica Michail Gnesin, un suo Trio composto nel 1943 a Taškent, dove assistette impotente alla morte del proprio figlio. Questa opera reca la dedica “In memoria dei nostri figli caduti in guerra” e ultimamente viene considerata come uno dei primi contributi alla musica dell’Olocausto.