Martedì 30 agosto – ore 18.30
Chiesa di SS. Giacomo e Quirico | Rio
Mario Brunello suona Bach, Weinberg, Cassadó
Mario Brunello violoncello
J.S. Bach | Suite per violoncello solo n. 4 BWV 1010 |
M. Weinberg | Sonata per violoncello solo n. 2 Op. 86 |
G. Cassadó | Suite per violoncello solo (1926) |
Prélude
Allemande
Courante
Sarabande
Bourrée I
Bourrée II
Gigue
M. Weinberg – Sonata per violoncello solo n. 2 Op. 86
I. Moderato sostenuto
II. Allegretto
III. Adagio
IV. Presto
Gaspar Cassadò (1897 – 1966) – Suite per violoncello solo (1926)
I. Preludio – Fantasia
II. Sardana (Danza)
III. Intermezzo e danza finale
Come al solito lasciamo la parola al M° Brunello per presentare il suo programma, sempre molto interessante, intelligente ed istruttivo, un vero excursus nella storia del violoncello. Mi permetto soltanto di fornire qualche notizia riguardante i due compositori del Novecento scelti da Mario Brunello: Mieczysław Weinberg e Gaspar Cassadò.
Ma ancora prima di presentare la Seconda Sonata per violoncello solo di Weinberg sarebbe necessario rivelare la personalità e il drammatico destino di questo compositore polacco-sovietico, ingiustamente ancora poco eseguito oggi in Russia ma per nostra fortuna sempre più diffuso e studiato in Europa e negli USA.
Visto finora solo all’ombra di Šostakovič, che lo considerava uno dei più importanti compositori del nostro tempo, Weinberg viene infatti lentamente riscoperto come uno dei geni del ventesimo secolo, una figura di immensa importanza nel panorama della musica classica post-moderna. Un autore il cui idioma musicale mescola stilisticamente, in un linguaggio liberamente tonale, forme tradizionali e contemporanee, influenze etniche ebraiche, polacche e moldave e un caratteristico senso della forma, dell’armonia e del colore.
Nato a Varsavia nel 1919 e morto nel 1996 a Mosca, Weinberg è autore di 26 sinfonie e 7 opere, tra cui La passeggera, forse la più famosa (prime rappresentazioni nel 2010 a Bregenz e a Varsavia e di recente a New York), L’idiota di Dostoevskij messa in scena nel 2013 a Mannheim da Thomas Sanderling e Il ritratto dal racconto di Gogol’; del balletto La chiave d’oro tratto dalla favola di Aleksej Tolstoj, la versione russa del Pinocchio di Collodi; di 17 Quartetti d’archi, di opere da camera per violino, viola, violoncello e contrabbasso in varie combinazioni, anche con pianoforte; di 6 Sonate per pianoforte e brani pianistici; di 10 Concerti per violino, violoncello, flauto, tromba, clarinetto con orchestra.
Una produzione impressionante che si accompagna ad una biografia straordinaria. Anche se il regime sovietico non lo apprezzò mai completamente, tra gli interpreti delle sue opere troviamo i massimi solisti del paese: David Ojstrach ha interpretato la Sonata n.2 a lui dedicata e la Rapsodia moldava, Emil Gilels registrò la sua Sonata n.4, Mstislav Rostropovič eseguì il suo Concerto per violoncello n.1, Kirill Kondrašin ha diretto le sue Sinfonie n. 4 e 6 e il “Quartetto Borodin” ha eseguito ben sette dei suoi Quartetti, tra cui l’Ottavo, il Tredicesimo e il Diciassettesimo a loro espressamente dedicati. Spesso anche Šostakovič affidava a Weinberg le prime esecuzioni delle sue nuove opere presso l’Unione dei Compositori: in duo hanno registrato la Decima sinfonia di Šostakovič mentre alla prima esecuzione del ciclo Sette Poesie di A. Blok è stato Weinberg a suonare la parte del pianoforte insieme a Višnevskaja, Ojstrach e Rostropovič, sostituendo nientemeno che Richter. La sua figura leggermente ingobbita si poteva regolarmente vedere ai concerti moscoviti.
Un artista segnato dall’eccedenza: “Ho un cognome che potrebbe bastarne la metà” disse. “Wein oppure Berg. Invece io sono sia Wein che Berg! E anche Wein si potrebbe tradurre in due modi: pianto oppure vino”. Ecco come Weinberg stesso si raccontò al musicologo Manašir Jakubov in un’intervista pubblicata il 16 febbraio 1994 sull’Utro Rossii (Il mattino della Russia) in occasione del suo 75-esimo compleanno…
“Mio padre nacque a Kišinëv (Chișinău) nel secolo scorso. All’età di 15-16 anni si unì ad una carovana ebraica di attori, un piccolo teatro ambulante. Attraversò con loro tutta la Bessarabia, la Romania, la Polonia meridionale e nel 1914, all’inizio della Prima guerra mondiale, si trovò bloccato a Varsavia. Qualche anno dopo sono venuto al mondo io. Già a 6 o 7 anni partecipavo agli spettacoli di mio padre e quando compii 12 anni papà mi portò da un’insegnante di musica, la “pani” Matulevicz, una donna formidabile. Fu lei a presentarmi al professore del Conservatorio di Varsavia Józef Turczyński che prima della rivoluzione si era diplomato al conservatorio di Pietroburgo con la nota pianista Anna Esipova. Gli piacqui e Turczyński mi prese nella sua classe.
Nonostante l’antisemitismo che regnava a Varsavia, c’erano comunque cinque teatri ebraici e in uno di questi suonavamo io e mio padre. Purtroppo di lì a qualche anno il teatro fallì, papà si ritrovò senza lavoro e tutto il peso del mantenimento della famiglia si riversò sulle mie spalle.
Al mattino strimpellavo in qualche matrimonio ebraico dove suonavo vari freilechs: accompagnavo i cantanti, perché sapevo improvvisare e leggere bene le note a prima vista. Poi correvo al conservatorio e suonavo la Sonata di Liszt, il Concerto Italiano di Bach o le Stagioni di Čajkovskij. E la sera, fino a mezzanotte, suonavo in un locale fox-trot, valzer-boston, slow-fox… Suonavo bene tutta questa musica.
Quando frequentavo il settimo anno, Turczyński mi mostrò ad un amico, il pianista di fama mondiale Józef Hofmann, professore e direttore del Curtis Institute of Music a Philadelphia. Hofmann riteneva che avrei dovuto andare a studiare negli USA e promise di inviarmi il visto. Ma scoppiò la guerra e tutto andò per aria.
Il 6 settembre 1939, al sesto giorno della guerra contro i tedeschi, rincasai dal lussuoso caffè “Adria” dove lavoravo. Mi misi a tavola: mamma mi aveva preparato dei panini con il prosciutto e la composta di mele, lo ricordo benissimo, e all’improvviso alla radio udimmo il colonnello Umiastovski annunciare che i tedeschi avevano infranto la nostra difesa e già al mattino sarebbero stati a Varsavia. Se qualcuno aveva la possibilità di scappare – disse – doveva fuggire. Io e mia sorella scappammo subito. Ma dopo qualche ora di cammino cominciarono a farle male le scarpe. Tornò a casa. Fu una decisione fatale. I miei furono internati nel ghetto di Lodz e poi sterminati a Trawniki.
Io invece continuai a camminare. Camminai per diciassette giorni. Sotto gli spari, sotto i bombardamenti, senza cibo e senza acqua. I tedeschi erano dappertutto, ogni giorno, ogni minuto si poteva morire. Ma Dio ha deciso che dovevo sopravvivere…
Il 17 settembre l’esercito sovietico era entrato in guerra, aveva occupato l’Ucraina Occidentale e mi ritrovai con altri fuggiaschi sulla linea di demarcazione: da un lato c’erano i tedeschi, poi la linea di demarcazione e poi l’Unione Sovietica. Supplicavamo i soldati sovietici: ‘Fateci passare!’ Io non sapevo nemmeno una parola in russo ma alla fine sono arrivato da un sottotenente. E lui ha detto: ‘Va bene, Weinberg, com’è il tuo nome?’ Io risposi: ‘Mieczysław’. E lui ‘Non ci sono ebrei con un nome simile. Diventerai Moisej’. Io dissi: ‘Sia Moisej, sia Abram, sia come vuoi tu, ma fammi entrare in Unione Sovietica!’ Così sono finito in Russia”.
Dopo aver completato gli studi di composizione presso il Conservatorio di Minsk, nel 1941 Weinberg viene sfollato a Taškent, nell’Uzbekistan, durante l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica. Proprio in quel periodo si stabilisce il legame con Dmitrij Šostakovič, il più importante della sua vita artistica. I due compositori diventano amici e negli anni successivi vivranno a stretto contatto, condividendo idee musicali e ispirazione. Proprio su invito di Šostakovič, nel 1943 Weinberg si trasferisce a Mosca dove inizia la sua prolifica attività di compositore e pianista.
Il 13 gennaio 1948 a Minsk, per ordine di Stalin, viene ucciso suo suocero Solomon Michoels, grande attore e regista, direttore del teatro ebraico, e sciolto il Comitato Ebraico antifascista. Dopo la campagna di lotta contro i “cosmopoliti senza patria” è la volta dell’ “Affare dei medici assassini”: tra le vittime del complotto c’è anche lo zio di Natalia, moglie di Weinberg. Il cerchio si sta trasformando in un cappio. All’inizio del 1953 Weinberg è arrestato. Ma Stalin muore il 5 marzo e Weinberg, ancora una volta, si salva.
Ascoltiamo ancora il suo racconto a Jakubov:
“Dopo l’uccisione di Michoels, mi misero sotto sorveglianza permanente. Il 5 febbraio 1953 David Ojstrach suonò la mia Rapsodia Moldava. Tornammo a casa e con me vennero anche Boris Čajkovskij con la moglie e Nikolaj Pejko. Eravamo seduti a tavola quando, alle due di notte, suonarono alla porta e mi condussero via mentre loro restarono tutta la notte in casa mia durante la perquisizione”.
“Quanto tempo è rimasto in prigione?”
“Io ritengo di essere stato in prigione per cinque anni, perché per cinque anni mi hanno seguito, pedinato, impedito di viaggiare, convocato di continuo alla milizia. Era peggio della prigione. Quando mi hanno finalmente arrestato ho sospirato, ero come alleggerito perché sapevo che era quello che doveva succedere”.
“Le è stata mossa qualche accusa?”
“Il nazionalismo borghese ebraico. Il primo giorno ho chiesto per che cosa fossi stato arrestato e il giudice istruttore rispose: “Per il nazionalismo borghese”. Obiettai: “Ma io non conosco nemmeno una lettera in ebraico, mentre ho migliaia di libri in polacco. Diciamo meglio: il nazionalismo borghese polacco”. La risposta fu: “Noi lo sappiamo meglio di te!” Ma questo non lo scriva.
“Perché?”
“Perché potrebbe ricominciare tutto da capo”.
“Chi è stato arrestato insieme a lei?”
“Non so di preciso. Ma quasi nessun compositore è morto, mentre gli scrittori sono stati fucilati”.
“In quante persone eravate nella cella?”.
“Io ero da solo. Potevo stare solo seduto. Sdraiato no. Di notte un proiettore molto forte negli occhi, e quindi nemmeno dormire. Insomma, poche gioie”.
“Si dice che nella sua liberazione qualche ruolo lo abbia giocato Šostakovič, che abbia cercato di difenderla e di tirarla fuori…”
“Due settimane dopo il mio arresto, il giudice istruttore mi disse una frase enigmatica: ‘I tuoi amichetti cercano di difenderti’. Solo molto tempo dopo mia moglie mi raccontò che lei e Levon Atovmjan, una persona magnifica, consegnarono alla Lubjanka una lettera nella quale Šostakovič giurava sulla sua testa e sul proprio nome che io ero una persona per bene e non potevo in alcun modo essere coinvolto in pericolosi complotti”.
Rudolf Barshai raccontò nella sua autobiografia Nota l’epilogo della prigionia di Weinberg: “Weinberg è un compositore di grande talento. È noto al vasto pubblico soprattutto come autore della musica del film Quando volano le cicogne e dei cartoni animati su Winnie Pooh. Ma è autore di più di venti sinfonie. E a mio avviso, le sue migliori opere sono quelle in cui si rivolge alla poesia ebraica polacca. I genitori e parenti stretti di Metek, come lo chiamavamo noi amici, sono stati sterminati nel campo di concentramento. Egli compose una sinfonia dedicata agli eroi della rivolta al ghetto di Varsavia dove, ad un certo punto, appare come una reminiscenza la Ballata di Chopin. Ed è impossibile trattenere le lacrime, proprio impossibile. Quando egli scrisse la sua ultima sinfonia, io ero già all’estero e lo supplicai: ‘Fammela eseguire qui!’. Ma aveva ancora paura. Ebbe paura fino all’ultimo giorno della sua vita. In prigione era stato torturato dai ratti. Lo denudavano e facevano entrare nella sua cella dei ratti affamati. Mi ha raccontato come lo mordevano, dappertutto.
Quando Stalin morì, il giudice istruttore convocò Metek e gli disse: ‘Cittadino Weinberg, la sua causa è stata riveduta, sono state scoperte nuove circostanze, l’accusa è errata, e lei si è rivelato innocente. Raccolga le sue cose e vada a casa’. Metek rifiutò. ‘Non me ne vado’, rispose, ‘Sono un nazionalista borghese’. Il poliziotto insistette per una settimana ma Weinberg rifiutava di riconoscere la propria innocenza temendo si trattasse di una provocazione. Allora quello chiamò la moglie di Weinberg: ‘Non so come costringere suo marito a firmare la dichiarazione di innocenza’. Capite, lui non sapeva come costringerlo! La moglie chiese al giudice istruttore di collegarla per telefono con il marito: ‘Metek, Stalin è morto’ gli disse. Mezz’ora dopo egli confessò di essere innocente”.
Due delle quattro Sonate per violoncello solo, la Seconda (1965) e la Quarta (1986), sono dedicate al fondatore del Quartetto “Borodin”, Valentin Berlinskij, suo grande ammiratore ed iniziatore delle diverse manifestazioni nel 2019 in memoria del grande compositore, vissuto “purtroppo” un po’ all’ombra del suo amico più anziano e famoso come Dmitrij Šostakovič.
La Seconda Sonata è un tipico esempio della matura maestria di Weinberg, sia nella forma, che nei mezzi sonori e tecnici, a partire dal recitativo iniziale, con delle intonazioni di interrogazione patetica; questa intonazione si riprende verso la fine del velocissimo Finale, apparentemente giocoso, ma con un’angoscia sempre presente. Più vicino al mondo “šostakovičiano” sembra di essere il breve scherzo Allegretto. Il pensiero costante, lo sviluppo delle idee musicali nel tempo lento sono di una drammaticità particolare.
Gaspar Cassadò, (Barcellona, 1897 – Madrid, 24 dicembre 1966) è stato un violoncellista e compositore spagnolo. All’età di 5 anni cominciò a studiare musica con il padre Joaquin (compositore e organista) dimostrando una predilezione per il violoncello. A 7 anni si esibì in concerto per la prima volta a Barcellona, dopo di che andò a Parigi dove fu allievo di Pablo Casals e conobbe Maurice Ravel e Manuel de Falla. Suonò con Alfredo Casella e Ricardo Viñes. Compose un oratorio e molta musica da camera, soprattutto per violoncello, tra cui spicca la celebre Suite per violoncello solo. Dopo la Prima guerra mondiale effettuò tournée in tutto il mondo suonando brani classici nonché dei più famosi compositori del periodo; come il Maestro Pablo Casals, anche lui insegnò all’Accademia Musicale Chigiana di Siena.
La Suite per violoncello solo di Cassadó combina il formalismo barocco e l’orientamento alla danza delle suite di Bach con il suo stile spagnolo nativo. Il primo movimento inizia, á la Bach, con un preludio libero che evolve in una dignitosa danza spagnola legata alla sarabanda barocca. Viene composta nel periodo più fertile della vita creativa di Cassado, nel 1926, insieme al Concerto per violoncello ed il Trio con pianoforte. Nella Suite il grande violoncellista ha inserito i ritmi e le melodie caratteristiche delle danze spagnole, oltre agli espressivi recitativi e agli abbellimenti virtuosistici. Nel primo movimento è inclusa una citazione dalla Sonata del compositore ungherese Zoltán Kodály per violoncello solo op.8 e ancora il famoso assolo del flauto dal balletto di Maurice Ravel Daphnis et Chloé.
Commento a cura di Valerij Voskobojnikov