Venerdì 30 agosto – ore 21.30

Teatro dei Vigilanti "Renato Cioni" | Portoferraio

Marta Argerich - Elba Festival Orchestra - Solisti del Festival - Mendelssohn, Beethoven
10 anni dalla scomparsa di Claudio Abbado

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Informazioni

Martha Argerich pianoforte | Liana Gourdjia violino, concertatrice | Raphael Bell violoncello | Elba Festival Orchestra
F. Mendelssohn-Bartholdy Trio per pianoforte, violino e violoncello n. 1, op. 49
L. van Beethoven Concerto per pianoforte e orchestra n. 1, op. 15

L’inaugurazione del Festival 2024 è dedicata alla memoria di Claudio Abbado, grande direttore d’orchestra con il quale George Edelman, Direttore Artistico di “Elba Isola Musicale d’Europa”, collaborò strettamente per dieci anni a Ferrara Musica; risalgono proprio a quegli anni le ultime collaborazioni tra lo stesso Abbado e Martha Argerich. I due musicisti si conobbero a Vienna negli anni Cinquanta tramite Friedrich Gulda, loro insegnante al Mozarteum di Salisburgo. La collaborazione in studio iniziò nel 1967 in occasione della registrazione del Terzo Concerto per pianoforte di Prokof’ev e di quello in Sol maggiore di Ravel; sempre diretta da Abbado, Martha Argerich suonerà poi diversi Concerti di Mozart, in particolare il K.503 ed il K.466; il Primo di Chopin e di Liszt, due Concerti n. 2 e n. 3 di Beethoven, il Primo di Čajkovskij ecc.

Martha Argerich è stata quindi invitata di nuovo all’Elba proprio per ricordare il decimo anniversario dalla scomparsa del M° Claudio Abbado: la pianista di origine argentina inaugurerà la 28ª edizione del Festival “Elba Isola Musicale d’Europa” venerdì 30 agosto, esibendosi prima nel Trio per pianoforte, violino e violoncello n. 1, Op. 49 di Felix Mendelssohn-Bartholdy insieme a Liana Gourdjia e Raphael Bell, e poi nel Concerto per pianoforte e orchestra n. 1, Op. 15 di Beethoven, coadiuvata dalla Elba Festival Orchestra.

 

Felix Mendelssohn-Bartholdy Trio per pianoforte, violino e violoncello n. 1, Op. 49

Molto allegro e agitato

Andante con moto tranquillo

Scherzo. Leggero e vivace

Finale. Allegro assai appassionato

 

Al Trio per pianoforte, violino e violoncello Felix Mendelssohn Bartholdy si dedicò in due occasioni, negli anni della maturità, con il Trio in Re minore Op. 49 del 1840 e il Trio in Do minore Op. 66, nella primavera del 1845. Nell’applicarsi tardivamente al genere del Trio con pianoforte con i suoi due lavori, Mendelssohn teneva presente la direzione indicata da Franz Schubert nel rinnovare l’approccio alla peculiare formazione cameristica, spingendosi tuttavia più oltre sulla strada di una connotazione più complessa e “romantica” del genere. E, d’altra parte, è noto come Mendelssohn, compositore precocissimo, avesse conquistato fin da giovane una propria fisionomia creativa, senza essere in seguito soggetto a significative e profonde evoluzioni.

Composta nel 1839 e rivista più volte fino alla sua pubblicazione definitiva nel 1840, quest’opera drammatica e brillante, ma al tempo stesso del tutto personale, ottenne immediatamente un enorme successo e ancora oggi oscura il suo brano gemello, altrettanto geniale, il Trio in Do minore Op. 66. Quando il primo Trio venne eseguito per la prima volta a Lipsia il 23 settembre 1839, con lo stesso autore al pianoforte, Schumann ebbe parole di elogio e scrisse poco dopo sulla sua rivista che «questo è il lavoro di un maestro, come lo furono a loro tempo quelli di Beethoven in Si bemolle e in Re, come lo era quello di Schubert in Mi bemolle… Questo Trio è una eccellente composizione che tra qualche anno delizierà i nostri nipoti e pronipoti. Mendelssohn è il Mozart del nostro momento storico, il più brillante dei musicisti, quello che ha individuato più chiaramente le contraddizioni dell’epoca e il primo che le ha riconciliate tra di loro».

Il primo movimento Molto allegro e agitato si apre senza preamboli con una musica appassionata, impaziente, con una frase affidata al violoncello e poi richiamata dal violino e dal pianoforte. Il secondo motivo è più discorsivo; questi due elementi, sviluppati soprattutto dagli archi, si integrano armoniosamente. Nella parte finale del primo tempo il pianoforte assume un ruolo brillante, qui la bravura del compositore è pari a quella del virtuoso-pianista. Nell’Andante con moto tranquillo, l’idea pianistica da “romanza senza parole” nel passare al violino e poi al violoncello si arabesca nelle delizie della variazione ornamentale ed il talento di Mendelssohn-liederista si manifesta in pieno. Ma dove questo enorme musicista, come spesso accade nelle sue opere, è ancora più brillante, sicuramente è nello Scherzo. Leggero e vivace, una pagina ritmicamente frizzante e ricca di colori, un autentico gioco a tre. Il Finale. Allegro assai appassionato è un Rondò con richiami al tema originario, variato secondo un gusto vagamente popolaresco.

 

Ludwig van Beethoven  Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra in Do maggiore, Op. 15

Allegro con brio

Largo

Rondò. Allegro scherzando

 

Quando il giovane Ludwig van Beethoven nel 1787 era giunto per la prima volta a Vienna, non avrebbe mai immaginato che la splendida capitale asburgica presto sarebbe divenuta la sua patria adottiva e che lì avrebbe vissuto per quarant’anni fino alla fine dei suoi giorni. Qui ancora brillava l’astro di Wolfgang Amadeus Mozart; si dice che i due grandi si siano incontrati e che, dopo aver ascoltato un’improvvisazione del ragazzo tedesco su un tema dato lì per lì, il Maestro di Salisburgo avrebbe esclamato “questo ragazzo farà parlare di sé il mondo”. Per ragioni familiari però Beethoven dovette rientrare a casa e solo nel 1792, su proposta di “papà Haydn”, fece ritorno a Vienna per studiare con il grande maestro. Nella capitale austriaca Beethoven venne apprezzato soprattutto per le sue qualità pianistiche, ed esordì come compositore solo nella stagione del 1794/5 con il Concerto per pianoforte e orchestra in Si bemolle maggiore. Un anno dopo scrive un altro Concerto in Do maggiore che diverrà poi il Primo Concerto Op. 15, mentre quello precedente assumerà la numerazione successiva, Op. 19, e sarà revisionato nel 1798. Esisteva un concerto giovanile, del 1784, più o meno abbozzato a Bonn, ma l’autore non lo inserì nel suo catalogo. Il Concerto in Do maggiore venne pubblicato soltanto nel marzo del 1801 dall’editore viennese Mollo. Beethoven lo dedicò ad una sua giovane allieva, Anna Luisa Barbara von Keglevich, detta “Babette”, a cui aveva da poco fatto dono anche della Sonata in Mi bemolle maggiore per pianoforte, Op. 7, composta nel 1797.

Il Concerto n. 1 porta i segni delle esperienze precedenti di Mozart, Haydn, Carl Philipp Emanuel e Johann Christian Bach ma già qui Beethoven sa immediatamente imporre il suo marchio dinamico e timbrico. Nel primo movimento Allegro con brio, dopo un’ampia introduzione dell’orchestra, il solista presenta i due temi, l’uno fiero e marziale, l’altro cantabile, questo movimento è il più lungo e corposo del Concerto. La Cadenza è molto importante, appartengono all’autore tutte e tre, scritte negli anni 1807-1809, forse dedicate all’arciduca Rodolfo d’Austria. Se nel primo movimento in orchestra sono presenti le trombe e timpani, nel bellissimo Largo tacciono anche flauti e oboi ma si svolge un intenso dialogo del solista con altri strumenti, specialmente con il clarinetto. È come una romanza, cantabile, dolce e molto espressiva, con momenti di vera drammaticità e oscurità, sorprendenti per un compositore così giovane; il tema nella sua libera recitazione varia, si evolve nella nobile tonalità di La bemolle maggiore (la ritroveremo spesso nelle Sonate per pianoforte!) in un’atmosfera di sogno e pace. Nel conclusivo Rondò. Allegro scherzando regna invece il clima vagamente popolare, con accenti ritmici apertamente umoristici, giocosi, danzanti, brillanti. Per un solista-virtuoso, nel finale ci sono tutte le possibilità di sfoggiare la propria abilità.

 

Commento a cura di Valerij Voskobojnikov