Edvard Grieg Sonata per violoncello e pianoforte op. 36 in La minore
Allegro agitato
Andante molto tranquillo
Allegro molto e marcato
Edvard Grieg (1843 – 1907) è sicuramente il massimo compositore norvegese. Di solida preparazione professionale, ricevuta dai migliori docenti dell’epoca, ha subito l’influenza di Liszt, Wagner e della scuola di Lipsia. Era un ottimo pianista e direttore d’orchestra, e visse anche in Italia, in particolare a Ravello dove conobbe Henrik Ibsen, autore del dramma Peer Gynt, per il quale Grieg scrisse due Suite orchestrali. Tra le sue composizioni le più popolari sono appunto queste due Suite e altre musiche orchestrali come la Suite Holberg, soprattutto il bel Concerto per pianoforte e orchestra, i Pezzi Lirici per pianoforte, numerosi Lieder, ben tre Sonate per violino e pianoforte ed una Sonata per violoncello e pianoforte, in programma oggi.
La Sonata op. 36 fu commissionata dal famoso editore Peters di Lipsia. Scritta a Bergen nel 1883, presenta una dedica al fratello John e fu eseguita dallo stesso compositore nel 1906 alla sua ultima apparizione in pubblico con il giovane Pablo Casals al violoncello.
Il compositore stesso non tenne in gran considerazione questa Sonata, poiché riteneva che non apportasse nulla alla sua evoluzione, riferendosi di certo alla forma, troppo tradizionale e con limiti ben delineati in ogni settore. Del resto, Grieg non è mai stato innovatore nel campo nella forma di sonata, la sua originalità semmai consisteva nel carattere esplicitamente popolareggiante dei temi musicali, nelle armonie piene e colorate, nella ricca variazione dei tempi e nella loro trasformazione.
Nella Sonata per violoncello troviamo elementi di musica da camera ma anche una monumentalità da grande brano concertistico, e una dimensione virtuosistica che mette in risalto le numerose possibilità dei due strumenti, ambedue presentati molto brillantemente. La fattura sonora è vicina a quella orchestrale. I temi della Sonata assomigliano ad alcune trovate delle opere precedenti e quindi si legano su un piano biografico al passato del compositore, forse nascondendo una trama di ricordi. L’Allegro agitato iniziale è pieno di pateticità lirica, il tema principale ricorda quello severo ed eroico della Marcia funebre in memoria di Rikard Nordraak; nella prima esposizione al violoncello appare un lirico-agitato che nella possente versione pianistica si fa energico e pieno di potere. Il secondo tema è parzialmente contrastante ma anche “imparentato” nell’intonazione. Prima della Coda e dopo il punto culminante, molto drammatico, arriva la brillante cadenza. Il secondo movimento Andante molto tranquillo si basa su un tema che ricorda quello creato da Grieg nella marcia per il dramma popolare di Bjørnstjerne Bjørnson Sigurd Jorsalfar (Sigurd il crociato). Qui, con un’armonia raffinata arricchita dai cromatismi, suona non tanto eroico quanto elegiaco e dolente. Fin dall’inizio dell’Allegro molto e marcato viene subito in mente il Concerto per pianoforte e orchestra, la danza sinistra di nordici troll sul ritmo di halling che domina in tutto il Finale.
Dmitrij Šostakovič Trio n. 2 op. 67 in mi minore per violino, violoncello e pianoforte
Andante – Moderato
Allegro non troppo
Largo
Allegretto – Adagio
Il Trio n. 2 op. 67 in mi minore indubbiamente appartiene alle opere più riuscite, non solo da camera, e più impressionanti del grande compositore sovietico. Dedicato alla memoria del caro amico Ivan Sollertinskij, è stato scritto tra il dicembre 1943 e l’agosto 1944, e fu eseguito il 14 novembre dello stesso anno a Leningrado dall’autore e due componenti del Quartetto “Beethoven”, Dmitrij Zyganov e Sergej Širinskij. Ivan Ivanovič Sollertinskij era uno studioso di rara e vastissima erudizione: conosceva molte lingue, aveva una memoria fenomenale, nelle sue lezioni affrontava i temi più svariati, dalla filosofia alla letteratura, dalla linguistica alla musica, e tra l’altro ha avvicinato il giovanissimo amico Dmitrij Šostakovič all’opera di Gustav Mahler che ha influenzato molto la sua formazione. Sollertinskij non esitò ad elogiare il talento dell’amico compositore paragonando la Lady Macbeth del Distretto di Mcensk a La dama di picche di Čajkovskij, e non cambiò il proprio atteggiamento nemmeno dopo la feroce condanna del regime con il famigerato articolo “Caos anziché musica” pubblicato sulla Pravda nel 1936.
Durante la guerra, Ivan Sollertinskij fu sfollato insieme all’orchestra di Leningrado a Novosibirsk in qualità di direttore artistico, e qui l’11 febbraio 1944 morì improvvisamente d’infarto a soli 41 anni. Per il compositore questa fu una grande tragedia personale, per cui decise di dedicare la nuova composizione alla memoria dal prezioso amico. Sollertinskij era nato nella città di Vitebsk, patria di Marc Chagall e di tante altre celebrità dell’arte, in cui la comunità ebraica era storicamente molto numerosa (la città fu teatro di un grande pogrom e occupata dai nazisti nel 1941), e pur non essendo egli stesso ebreo, evidentemente questo fatto biografico dell’amico defunto suggerì a Šostakovič di utilizzare nel Trio diversi motivi e ritmi popolari del genere klezmer. In particolare, il motivo della danza, che nel Finale assume il carattere di una vera e propria “danza della morte”, fu comunicato al compositore dal pittore Solomon Geršov, anch’egli nativo di Vitebsk. Inoltre nello stesso periodo, all’inizio del 1944, Šostakovič fu occupato con l’orchestrazione e il completamento dell’opera incompiuta Il violino di Rotschild del suo allievo Veniamin Flejšman, caduto sul fronte nei primi mesi della guerra contro i nazisti tedeschi.
Lo spartito dell’opera in gran parte è basato sui motivi della musica popolare ebraica. Quindi il Finale del Trio può essere considerato come un monumento alla cultura stessa dell’Europa orientale distrutta dagli hitleriani. Il tema dell’Introduzione Andante viene esposto dal violoncello con i suoni armonici artificiali, finendo per superare in un registro più acuto la successiva parte del violino (racconta Mstislav Rostropovič, studente di composizione nella classe di Šostakovič, che nel 1944 il compositore lo consultò sull’uso degli armonici proprio per questo passo nel Trio). Questo tema viene trasformato, come spesso in Šostakovič, assumendo un carattere ossessivo e caricaturale. Lo Scherzo Allegro non troppo, marcatissimo pesante, è un brano di grande effetto simile a quello del Quintetto op. 57 e, come testimoniava la sorella di Sollertinskij, rappresenta un magnifico ritratto musicale dell’amico creato dal compositore. Il Largo della passacaglia è costruito sugli accordi del pianoforte ripetuti sei volte, nei quali si potrebbe trovare l’eco di Der Doppelgänger di Schubert, con il duetto sovrapposto degli archi, di carattere elegiaco, che porta direttamente al Finale, Allegretto. Qui bisogna distinguere tre elementi: il primo è una specie di ritornello che stabilisce un ritmo danzante ripetitivo nei vari timbri e registri; il secondo è proprio il motivo della “danza della morte” dalle tipiche intonazioni ebraiche, eseguito dal pianoforte con l’accompagnamento meccanico degli archi; il terzo elemento è meno “demoniaco” con l’evidente riferimento alla danza “Freylekhs”. Ad un certo punto la drammatica evoluzione di questi temi si calma ma poi, con un enorme crescendo di tutti e tre gli strumenti, gli archi stridenti e gli accordi del pianoforte pesanti, dissonanti e possenti, raggiunge la massima forza a passionalità che “crolla” in un episodio in Mi maggiore con i passaggi veloci e scorrevoli del pianoforte e degli archi che intonano in fortissimo ma con sordina il tema dell’inizio. Nella magica Coda, Šostakovič ottiene una sintesi, una perfetta fusione di tutti i temi del Trio (tranne quello dello Scherzo) che si spegne in un Adagio, come una catarsi, sugli accordi della passacaglia.
Commento a cura di Valerij Voskobojnikov