Martedì 29 agosto – ore 18.30

Centro Culturale De Laugier | Portoferraio
Solisti del Festival - Prokofiev, Dvořák

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Informazioni

Aki Saulière violino | Chiara Sannicandro violino | Georgy Kovalev viola | Raphael Bell violoncello | Amerigo Bernardi contrabbasso
S. Prokofiev Sonata per due violini op. 56
A. Dvořák Quintetto per due violini, viola, violoncello e contrabbasso op. 77

Sergej Prokof’ev (1891-1953) – Sonata per due violini op. 56

Andante cantabile
Allegro
Commodo (quasi allegretto)
Allegro con brio

Prima di affrontare ogni processo creativo, Sergej Prokof’ev già si poneva il compito di essere ad ogni costo originale, insolito. Da giovane era particolarmente coraggioso e anzi provocatorio nella musica, sfidante, a partire dall’esame per il diploma di pianoforte per il quale, invece di preparare un concerto di qualche autore “classico”, egli preferì mettere davanti alla commissione le copie delle partiture del proprio Primo Concerto. Così, nell’iniziare nel 1932 in Francia a comporre una Sonata per due violini solo, senza accompagnamento, Prokof’ev si chiedeva: “E’ possibile trattenere l’attenzione degli ascoltatori per dieci minuti con una musica a due voci sole?”. Infine, rimasto soddisfatto del lavoro eseguito, il compositore diede una risposta positiva: “Nonostante la ristrettezza apparente dei limiti di un simile duetto, si può inventare tanta musica interessante che il pubblico possa ascoltare per 10 e persino 15 minuti senza alcuna fatica”. La Sonata fu scritta nell’estate del 1932, durante un periodo di vacanze a Sainte Maxime, vicino Saint Tropez, su richiesta d’una associazione concertistica parigina: ma prima che a Parigi dove fu eseguita il 16 dicembre ad opera di Samuel Dushkin, primo interprete del Concerto per violino di Igor Stravinskij, e di Robert Söetans (futuro primo interprete del Secondo Concerto di Prokof’ev stesso), fu presentata a Mosca dai due violinisti dell’illustre Quartetto Beethoven, il 27 novembre, Dmitrij Zyganov e Vasilij Širinskij.
Prokof’ev stava allora abbandonando i modi del suo primo periodo – definiti talvolta barbarici, talvolta modernisti, ma sempre irrispettosi delle buone maniere musicali – per abbracciare uno stile più semplice e accessibile. In questa Sonata si scontrano le contrastanti caratteristiche di quel periodo di passaggio, con temi chiari e cantabili alternati ad armonie aspre e passaggi bitonali. Il figlio del compositore, Sviatoslav Prokof’ev, la definì «di volta in volta lirica, briosa, fantastica e violenta». Duecento anni prima Vivaldi era passato nel genere della Sonata per violino, dai quattro ai tre movimenti, mentre Prokof’ev recupera l’antica forma della Sonata di Corelli e di Bach, in quattro movimenti, con un tempo lento iniziale.
Come mai il compositore si rivolse ad un simile sperimento? Il fatto è che a Parigi era sorta negli anni Trenta, con il dichiarato scopo di incoraggiare la nuova produzione di musica cameristica, la società «Le Triton», che ebbe notevole influenza sulla musica francese anteguerra. Animatore e ideatore della società era stato il giovane compositore e critico Pierre-Octave Ferroud, morto a soli trentasei anni. Ma al gruppo avevano dato la loro adesione Milhaud, Poulenc, Honegger e molti altri. Per il concerto inaugurale delle stagioni del «Triton», Prokofiev scrisse questa Sonata per due violini, e già la scelta del non facile organico rispondeva alla esigenza di esperire nuove sonorità e di battere vie inconsuete. La Sonata alterna due movimenti calmi e due allegri:
Il primo tempo, Andante cantabile, si apre con un tema tormentato ed asciutto che reca la sigla inconfondibile del suo autore. I due strumenti si inseguono in una specie di ricercare o di preludio. Ad un Andante cantabile – grave e meditativo, a tratti cupo, quasi funereo – segue un Allegro che inizialmente alterna un tema ritmico e energico ad uno melodico e sinuoso, poi li mescola e sovrappone in un originale contrappunto. “Teneroso [sic] e semplice” inizia poi il terzo tempo, un Comodo quasi allegretto, particolarmente suggestivo per la sua strana atmosfera di “fredda malinconia” e, secondo l’indicazione del compositore stesso, può essere suonato sia con le sordine che senza. La Sonata si chiude con un Allegro con brio che alterna due temi, uno energico e uno, «poco più sostenuto», intensamente espressivo. Nel finale, Allegro con brio, i frequenti cambiamenti d’atmosfera rivelano l’irrequietezza tipica del primo Prokof’ev. Insomma, un’opera originale e coraggiosa, come abbiamo visto, ma persino i suoi sinceri ammiratori in Russia come Nikolaj Mjaskovskij la trovavano “strana”. Le parti dei due solisti sono di identico valore; a volte il dialogo diventa “a due voci” – melodia e accompagnamento; ogni tanto ambedue suonano le doppie note come nel quartetto; alla fine torna il tema dell’inizio come nel Primo Concerto, per completare la forma, un metodo simile usato da Prokof’ev nelle Sonate per pianoforte (la Nona in particolare).

 

Antonin Dvoràk (1841–1904) – Quintetto per due violini, viola, violoncello e contrabbasso op. 77

Allegro con fuoco
Scherzo: Allegro vivace – Trio: l’Istesso tempo quasi allegretto
Poco andante
Finale: Allegro assai

Dvoràk scrisse cinque Quintetti per archi, due con il raddoppio delle viole, due con il pianoforte (da noi già eseguito op.81) e un altro, in sol maggiore op. 77, in programma stasera, con accompagnamento del contrabbasso. La partecipazione a questa forma compositiva del contrabbasso, strumento che deriva dalla famiglia medioevale della viola da gamba, si configura verso la fine del Settecento e va ricordato che già Mozart lo utilizza nella celebre Eine kleine Nachtmusik. Si può dire che nell’Ottocento il contrabbasso abbia avuto i massimi riconoscimenti per merito di due specialisti di questo strumento, ambedue italiani, Domenico Dragonetti (1763-1846) e Giovanni Bottesini (1821-1889), che scrissero numerose composizioni in cui esso figura anche in posizione solistica e con la piena valorizzazione delle sue caratteristiche timbriche. Anche altri autori mostrarono interesse per tale strumento e tra questi va annoverato anche Dvorak, che compose il Quintetto in sol maggiore nel 1875, tenendo presente la lezione dei classici, da Beethoven a Schubert, e soprattutto di Brahms, per il quale nutrì una sincera e profonda ammirazione.
Brano armonioso e sereno, il Quintetto rivela la sensibilità del suo autore per il nazionalismo musicale, che si avverte mediante la suggestione di impressioni e spunti popolari senza, tuttavia, ricorrere a citazioni esplicite. Contrassegnato dal numero d’opus 18 e articolato in cinque movimenti, viene eseguito il 18 marzo 1875 in un concorso indetto dall’Unione degli Artisti di Praga con la dedica annunciata: “Al mio Popolo”. Nel 1888, tredici anni più tardi, Dvořák rielabora la partitura e, considerato che i due movimenti lenti rendono troppo lunga la composizione, elimina l’Andante religioso (diventerà il Notturno per archi in si maggiore); così revisionato, il Quintetto per archi in sol maggiore n. 2 viene pubblicato da Simrock come Opus 77.
L’Allegro con fuoco iniziale è in pianissimo, ma subito si afferma l’ampio e brillante tema principale; in un gioco di domande e risposte è affiancato da una piacevole e sinuosa melodia. La festosa conclusione impegna tutti e cinque gli strumenti. Contrariamente alla tradizione lo Scherzo, che è un Allegro vivace, è collocato nel secondo movimento del Quintetto. Qui affiora il Dvoràk popolare con i ritmi di 6/8, si alternano episodi cantabili dei violini e della viola e la riproposizione, con variazioni, del tema principale. ll Poco andante è contrassegnato da un lirismo di gusto brahmsiano, in cui si evidenzia la linea espressiva del primo violino, mentre il contrabbasso è presente con una serie di delicati pizzicati. Molto bella la parte centrale, più densa e più drammatica che porta alla ripresa e conclusione rasserenata. Il quarto movimento – Finale. Allegro assai è estroso e ritmato, caratterizzato da uno sviluppo complesso, fitto e incalzante fino alla conclusione.

Commento a cura di Valerij Voskobojnikov