Johann Sebastian Bach Suite per violoncello solo n. 1, BWV 1007 in Sol maggiore
Prélude
Allemande
Courante
Sarabande
Menuet I
Menuet II
Gigue
Johann Sebastian Bach Suite per violoncello solo n. 3, BWV 1009 in Do maggiore
Prélude
Allemande
Courante
Sarabande
Bourrée I
Bourrée II
Gigue
Delle Six Sonates ou Etudes pour le Violoncello solo di Bach, giunte fino a noi grazie alle copie redatte dalla moglie del compositore Anna Magdalena, non si conosce che la data di
pubblicazione, Vienna 1825. Si pensa che Bach le abbia scritte tra il 1717 e il 1723, mentre era al servizio del principe Leopold di Anhalt-Cöthen e aveva a sua disposizione due bravi violoncellisti: Bernard Christian Linigke e Christian Ferdinand Abel. Nello stesso periodo nascono alcuni dei suoi capolavori, come i Concerti brandeburghesi, il primo volume del Wohltemperierte Klavier, le Suite inglesi e le Suite francesi. Una suite barocca è in genere una raccolta di movimenti di danza. Elementi comuni della suite sono l’Allemande, una danza tedesca moderatamente lenta; la Courante, più veloce e in tempo ternario; la Sarabande, di origine spagnola in tempo ternario ma più lento e una Giga, rapida, allegra ed energica. Bach aggiunge un Preludio in forma libera, quasi improvvisato e, tra la Sarabande e la Giga inserisce come galanterie una coppia di danze. Con queste Suite il compositore sperimenta e crea i primi, e probabilmente ancora i migliori, lavori solisti per uno strumento
relativamente nuovo.
Come al solito lascerei la parola al Maestro Brunello per presentare il suo programma, sempre molto interessante, intelligente ed istruttivo, un vero excursus nella storia del violoncello. Mi permetto soltanto di fornire qualche notizia riguardante il compositore del Novecento scelto da Mario Brunello. Mieczysław Weinberg, nato Mojsze Wajnberg (Varsavia, 12 gennaio 1919 – Mosca, 26 febbraio 1996), è un compositore di origine polacco-ebraica vissuto nell’URSS, autore di 26 sinfonie e sette opere (tra cui La passeggera, L’idiota da Dostoevskij), Il ritratto da Gogol’), del balletto La chiave d’oro tratto dalla favola di Aleksej Tolstoj (la versione russa del Pinocchio di Collodi), di diciassette Quartetti per archi, di opere da camera per violino, viola, violoncello e contrabbasso in varie combinazioni, anche con pianoforte, di sei Sonate per pianoforte e brani pianistici, di dieci Concerti per violino, violoncello, flauto, tromba, clarinetto con orchestra.
Miracolosamente fuggito a piedi, nel settembre del 1939, da Varsavia occupata, completò gli studi di composizione in URSS al Conservatorio di Minsk; nel 1941 venne sfollato a Taškent, in Uzbekistan. In quel periodo nacque il legame con Dmitrij Šostakovič, il più importante della sua vita artistica. Su invito di Šostakovič nel 1943 Weinberg si trasferì a Mosca dove iniziò un periodo di fervida attività come compositore e pianista. Il 13 gennaio 1948 a Minsk, per ordine di Stalin, fu assassinato suo suocero Solomon Michoels, grande attore e regista. Nello stesso anno iniziarono le persecuzioni contro i cosiddetti “Cosmopoliti senza patria” e quando, nel 1952, il regime montò il “Complotto dei medici”, un fasullo caso giudiziario contro alcuni medici dell’Unione Sovietica accusati di aver attentato alla vita di diversi leader
sovietici, tra le vittime figurò lo zio di Natalia, moglie di Weinberg. All’inizio del 1953 Weinberg fu arrestato, e fu liberato solo dopo la morte di Stalin anche grazie all’intervento dell’amico Šostakovič.
La musica di Weinberg è di moderata modernità; usò la tonalità allargata e non evitò le sperimentazioni della dodecafonia e del minimalismo. Il tema dell’Olocausto e il dramma della sua famiglia sterminata in Polonia sono al centro di alcune sue produzioni: l’opera La
passeggera, le Sinfonie n.17 “Memoria” e n. 21 “Kaddish”. Visse per lungo tempo all’ombra di Šostakovič anche se questi lo considerava tra i più talentuosi musicisti contemporanei, la sua opera è stata recentemente riscoperta e ad oggi è ritenuto uno dei maggiori compositori del Ventesimo secolo. La sua è una produzione impressionante che si accompagna ad una
biografia straordinaria. Anche se il regime sovietico non lo apprezzò mai completamente, tra gli interpreti delle sue opere troviamo i massimi solisti del paese: David Oistrakh eseguì la Sonata n. 2 a lui dedicata e la Rapsodia moldava, Emil Gilels registrò la sua Sonata n. 4, Mstislav Rostropovič eseguì il suo Concerto per violoncello n.1, Kirill Kondrašin ha diretto le sue Sinfonie n. 4 e 6 e i musicisti del Quartetto Borodin hanno eseguito ben sette dei suoi Quartetti, tra cui l’Ottavo, il Tredicesimo e il Diciassettesimo a loro espressamente dedicati. Spesso anche Šostakovič affidava a Weinberg le prime esecuzioni delle sue nuove opere presso l’Unione dei Compositori: in duo hanno registrato la Decima sinfonia di Šostakovič mentre alla prima esecuzione del ciclo Sette Romanze su poesie di Aleksandr Blok fu Weinberg a suonare la parte del pianoforte insieme a Višnevskaja, Oistrakh e Rostropovič, sostituendo nientemeno che Richter. La sua figura leggermente ingobbita si poteva regolarmente vedere ai concerti moscoviti.
Weinberg è un artista segnato dall’eccedenza: «Ho un cognome che potrebbe bastarne la metà», disse, «Wein oppure Berg. Invece io sono sia Wein che Berg! E anche Wein si potrebbe tradurre in due modi: pianto oppure vino». Ecco come Weinberg stesso si raccontò al musicologo Manašir Jakubov in un’intervista pubblicata in occasione del suo settantacinquesimo compleanno: «Mio padre nacque a Kišinëv (Chișinău) nel secolo scorso.
All’età di 15-16 anni si unì ad una carovana ebraica di attori, un piccolo teatro ambulante. Attraversò con loro tutta la Bessarabia, la Romania, la Polonia meridionale e nel 1914, all’inizio della Prima guerra mondiale, si trovò bloccato a Varsavia. Qualche anno dopo sono venuto al mondo io. Già a 6 o 7 anni partecipavo agli spettacoli di mio padre e quando compii 12 anni papà mi portò da un’insegnante di musica, la “pani” Matulewicz, una donna formidabile. Fu lei a presentarmi al professore del Conservatorio di Varsavia Józef Turczyński che prima della rivoluzione si era diplomato al conservatorio di Pietroburgo con la nota pianista Anna Esipova. Gli piacqui e Turczyński mi prese nella sua classe. Nonostante l’antisemitismo che regnava a Varsavia c’erano comunque cinque teatri ebraici e in uno di questi suonavamo io e mio padre. Purtroppo, di lì a qualche anno il teatro fallì, papà si ritrovò senza lavoro e tutto il peso del mantenimento della famiglia si riversò sulle mie spalle.
Al mattino strimpellavo in qualche matrimonio ebraico dove suonavo vari freilechs: accompagnavo i cantanti, perché sapevo improvvisare e leggere bene le note a prima vista. Poi correvo al conservatorio e suonavo la Sonata di Liszt, il Concerto Italiano di Bach o le Stagioni di Čajkovskij. E la sera, fino a mezzanotte, suonavo in un locale fox-trot, valzer-boston, slow-fox… Suonavo bene tutta questa musica. Quando frequentavo il settimo anno, Turczyński mi mostrò ad un amico, il pianista di fama mondiale Józef Hofmann, professore e direttore del Curtis Institute of Music a Philadelphia. Hofmann riteneva che sarei dovuto andare negli USA e promise di inviarmi il visto. Ma scoppiò la guerra e tutto andò per aria. Il 6 settembre 1939, al sesto giorno della guerra contro i tedeschi, rincasai dal lussuoso caffè “Adria” dove lavoravo. Mi misi a tavola: mamma mi aveva preparato dei panini con il prosciutto e la composta di mele, lo ricordo benissimo, e all’improvviso alla radio udimmo il colonnello Umiastovski annunciare che i tedeschi avevano infranto la nostra difesa e già al mattino sarebbero stati a Varsavia. Se qualcuno aveva la possibilità di scappare – disse – doveva fuggire. Io e mia sorella scappammo subito. Ma dopo qualche ora di cammino cominciarono a farle male le scarpe. Tornò a casa. Fu una decisione fatale. I miei furono internati nel ghetto di Lodz e poi sterminati a Trawniki. Io invece continuai a camminare. Camminai per diciassette giorni. Sotto gli spari, sotto i bombardamenti, senza cibo e senza acqua. I tedeschi erano dappertutto, ogni giorno, ogni minuto si poteva morire. Ma Dio ha deciso che dovevo sopravvivere… Il 17 settembre l’esercito sovietico era entrato in guerra, aveva occupato l’Ucraina Occidentale e mi ritrovai con altri fuggiaschi sulla linea di demarcazione: da un lato c’erano i tedeschi, dall’altro l’Unione Sovietica. Supplicavamo i soldati sovietici: “Fateci passare!”. Io non sapevo nemmeno una parola in russo ma alla fine sono arrivato da un sottotenente. E lui ha detto: “Va bene, Weinberg, com’è il tuo nome?” Io risposi: “Mieczysław”. E lui “Non ci sono ebrei con un nome simile. Diventerai Moisej”. Io dissi: “Sia Moisej, sia Abram, sia come vuoi tu, ma fammi entrare in Unione Sovietica!” Così sono finito in Russia».
Ascoltiamo ancora il suo racconto a Jakubov: «Dopo l’uccisione di Michoels, mi misero sotto sorveglianza permanente. Il 5 febbraio 1953 David Oistrakh suonò la mia Rapsodia Moldava. Tornammo a casa e con me vennero anche Boris Čajkovskij con la moglie e Nikolaj Pejko. Eravamo seduti a tavola quando, alle due di notte, suonarono alla porta e mi condussero via mentre loro restarono tutta la notte in casa mia durante la perquisizione».
«Quanto tempo è rimasto in prigione?»
«Io ritengo di essere stato in prigione per cinque anni, perché per cinque anni mi hanno seguito, pedinato, impedito di viaggiare, convocato di continuo alla milizia. Era peggio della prigione. Quando mi hanno finalmente arrestato ho sospirato, ero come alleggerito perché sapevo che era quello che doveva succedere»
«Le è stata mossa qualche accusa?»
«Il nazionalismo borghese ebraico. Il primo giorno ho chiesto per che cosa fossi stato arrestato e il giudice istruttore rispose: “Per il nazionalismo borghese”. Obiettai: “Ma io non conosco nemmeno una lettera in ebraico, mentre ho migliaia di libri in polacco. Diciamo meglio: il nazionalismo borghese polacco”. La risposta fu: “Noi lo sappiamo meglio di te!”»
«Chi è stato arrestato insieme a lei?»
«Non so di preciso. Ma quasi nessun compositore è morto, mentre gli scrittori sono stati fucilati»
«In quante persone eravate nella cella?»
«Io ero da solo. Potevo stare solo seduto. Sdraiato no. Di notte un proiettore molto forte negli occhi, e quindi nemmeno dormire. Insomma, poche gioie»
«Si dice che nella sua liberazione qualche ruolo lo abbia giocato Šostakovič, che abbia cercato di difenderla e di tirarla fuori…»
«Due settimane dopo il mio arresto, il giudice istruttore mi disse una frase enigmatica: “I tuoi amichetti cercano di difenderti”. Solo molto tempo dopo mia moglie mi raccontò che lei e Levon Atovmyan, una persona magnifica, consegnarono alla Lubjanka una lettera nella quale Šostakovič giurava sulla sua testa e sul proprio nome che io ero una persona per bene e non potevo in alcun modo essere coinvolto in pericolosi complotti».
Rudolf Barshai raccontò nella sua autobiografia l’epilogo della prigionia di Weinberg: «Weinberg è un compositore di grande talento. È noto al vasto pubblico soprattutto come autore della musica del film Quando volano le cicogne. Ma è autore di più di venti sinfonie. E a mio avviso, le sue migliori opere sono quelle in cui si rivolge alla poesia ebraica polacca. I genitori e parenti stretti di Metek, come lo chiamavamo noi amici, sono stati sterminati nel campo di concentramento. Egli compose una sinfonia dedicata agli eroi della rivolta al ghetto di Varsavia dove, ad un certo punto, appare una reminiscenza la Ballata di Chopin, ed è impossibile trattenere le lacrime. Quando egli scrisse la sua ultima sinfonia, io ero già all’estero e lo supplicai: “Fammela eseguire qui!”. Ma aveva ancora paura. Ebbe paura fino all’ultimo giorno della sua vita. In prigione era stato torturato, lo denudavano e facevano entrare nella sua cella dei ratti affamati… Mi ha raccontato come lo mordevano dappertutto. Quando Stalin morì, il giudice istruttore convocò Metek e gli disse: “Cittadino Weinberg, la sua causa è stata riveduta, sono state scoperte nuove circostanze, l’accusa è errata, e lei si è rivelato innocente. Raccolga le sue cose e vada a casa” Metek rifiutò. “Non me ne vado”, rispose, “Sono un nazionalista borghese”. Il poliziotto insistette per una settimana ma Weinberg rifiutava di riconoscere la propria innocenza temendo si trattasse di una provocazione. Allora quello chiamò la moglie di Weinberg: “Non so come costringere suo marito a firmare la dichiarazione di innocenza”. Capite, lui non sapeva come costringerlo! La moglie chiese al giudice istruttore di collegarla per telefono con il marito: “Metek, Stalin è morto” gli disse. Mezz’ora dopo egli confessò di essere innocente».
Mieczysław Weinberg Sonata per violoncello solo n. 3, op. 106 (1971)
Allegro
Allegretto
Lento
Presto
Dobbiamo essere veramente grati al Maestro Mario Brunello per la sua instancabile attività di scopritore di opere sconosciute, di musica “taciuta” per molto tempo, in particolare dell’aria russo-sovietica. A parte le opere note di compositori armeni eseguite qui all’Elba, Brunello ha tirato fuori dall’oblio i Concerti di Mjaskovskij e di Kabalevskij, compositori vissuti nell’epoca del “realismo socialista”. Ma come ho scritto più volte, anche allora in URSS vissero musicisti di grande talento, per molto tempo ignorati anche in Italia a causa della loro lontananza dal linguaggio d’avanguardia. Non è un segreto che in Italia per molti anni regnò questa regola: la buona musica è solo quella che usa la tecnica contemporanea.
È pregevole la decisione di Mario Brunello di presentare anche oggi composizioni di Mieczysław Weinberg, musicista di enorme talento, del destino a dir poco tragico. Le quattro Sonate per violoncello solo di Weinberg sono le seguenti: la Sonata n.1 op.72 del 1960 (dedicata Mstislav Rostropovič); la n. 2 op.86 del 1965 (dedicata al violoncellista Valentin Berlinsky, solista e fondatore del famoso Quartetto Borodin); la n. 4 op.121 del 1977; la Terza Sonata op.106 è del 1971 e non reca nessuna dedica. Per violoncello solo Weinberg ha composto anche 24 Preludi op.100 nel 1969 ed anche questo ciclo, ancora da scoprire, era composto come regalo per Mstislav Rostropovič.
Nella Sonata per violoncello solo n. 3 op. 106 (è il numero della famosa Sonata Hammerklavier di Beethoven!) è interessante il contrasto tra i primi tre movimenti (Allegro, Allegretto, Lento) contenenti monologhi del violoncello piuttosto sereni, pieni di
bellissime melodie e messaggi nell’insieme “positivi”, ed il finale Presto angosciato, basato su una cellula corta e nervosa. Un brano conclusivo di grande virtuosismo ed effetto.
Commento a cura di Valerij Voskobojnikov