Friday September 9 – 6.30 pm
Villa Romana della Linguella | Portoferraio

Mischa Maisky – Festival Soloists – Bach, Schubert

Boris Garlitsky, Liana Gourdjia violins | Georgy Kovalev viola | Mischa Maisky, Giovanni Gnocchi cellos

J. S. Bach Suite for cello solo n. 5 BWV 1011
F. Schubert String Quintet D. 956

 

Johann Sebastian Bach – Suite per violoncello solo n. 5 BWV 1011

Preludio
Allemanda
Corrente
Sarabanda
Gavotte I e II
Giga

 

Franz Schubert – Quintetto per archi D.956

I. Allegro ma non troppo
II. Adagio
III. Scherzo. Presto – Trio. Andante sostenuto
IV. Allegretto. Più allegro

A proposito di una composizione come questo Quintetto, un capolavoro assoluto, la creatura musicale sublime, si rischia di dire le banalità che vorrei evitare. E quindi riporto alcuni giudizi, da me condivisi, del compianto musicologo Sergio Sablich nel suo libro L’Altro Schubert. Sablich conferma l’osservazione diffusa che l’aggiunta del secondo violoncello alla classica formazione quartettistica avrebbe aumentato la “velatura bruna” (e tanti altri musicologi trovano questa “oscurità” nel Quintetto) che “invece non arriva ad affermarsi, nonostante l’attesa sia sempre lì per annunciarla”. E Sablich definisce il secondo violoncello in questo caso come “un messaggero celeste, garante di una stabilità e di una solidità che non possono provenire altro che dal registro grave, da una attaccamento alla concretezza della terra”. Ancora: “Il fraseggio melodico assume un tratto confidenziale, intimo, di una semplicità ‘parlante’, ‘narrante’, espressa sottovoce, l’armonia si colora di riflessi screziati, cangianti; il ritmo preme, ma senza incalzare”. Nonostante questi “piedi per terra”, la musica nasce in Schubert “da una completa disincarnazione dal reale, da un definitivo passaggio in un altro mondo, dimentico ormai del tutto di quello terreno”. Infine, “l’immagine della discesa nella notte, nella morte, qui è attraversata da una vampata di luce”.
Ed ecco una testimonianza quasi diretta sul mistero che possiamo definire come “il genio di Schubert”: la moglie del cantante Johann Michael Vogl, Kunigunde, scrive alla figlia Henriette da Vienna attorno al 1850 e dice che “Vogl è sempre stato persuaso che Schubert quando componeva cadesse in una sorta di sonnambulismo. Solo in questo modo con uno stato cioè di preveggenza (clairvoyance), si riesce a spiegare come quel ragazzino che appena aveva iniziato gli studi, e poi il ragazzo che aveva ricevuto un’educazione affatto normale, sia stato in grado di spingere il suo sguardo nei segreti della vita, nei sentimenti, nella conoscenza”. E racconta un episodio incredibile del come Schubert scriveva di continuo sui piccoli foglietti di carta stracciata e come Vogl ha provveduto di fornirgli la carta di musica vera. Un giorno il cantante torna a casa e trova sul tavolo una nuova composizione scritta sempre su pezzettini di carta, mentre quella nuova è rimasta inutilizzata. Vogl immediatamente fa copiare questo nuovo Lied e poi chiede a Schubert di provarlo al pianoforte. Il compositore è sorpreso e dice: “Non è male, di chi è?”. “Non aveva più riconosciuto la sua composizione!” E si trattava nientedimeno che del Lied Der Unglückliche (Lo sfortunato).
Detto questo, qualche dettaglio storico: il Quintetto è ultimato a poche settimane dalla morte, e si colloca nella stagione creativa dello Schwanengesang D.957 (Canto del cigno), dell’ultimo trìttico di Sonate per pianoforte D.958-960, della Decima Sinfonia D.936a. Probabilmente l’autore non poté ascoltare il Quintetto durante la vita e la prima esecuzione pubblica risale al 17 novembre del 1850 con il Quartetto Hellmesberger e il violoncellista Josef Stransky. Sono notevoli le proporzioni del Quintetto (dura quasi un’ora e per un’opera da camera è un dato eccezionale), sono aumentate anche le sonorità generali e in alcuni momenti si raggiunge la potenza quasi sinfonica; tutti i temi, quelli più brevi ed incisivi e quelli più estesi, lirici sono di indimenticabile bellezza; straordinaria la varietà dei timbri e delle combinazioni tra gli strumenti, spesso suonano in unisono almeno due strumenti e addirittura qualche volta tutti e cinque. Da notare il tempo dell’Adagio, molto insolito: 12/8, che permette a Schubert di sviluppare le idee geniali esposte all’inizio, le note molto lunghe che poi si “frantumano” in trentaduesimi nella parte centrale, più agitata e drammatica, con delle esclamazioni del secondo violoncello, ma senza cambiare il tempo indicato dall’inizio. Questo Adagio è certamente il movimento più impressionante del Quintetto, ma ognuna delle quattro parti possiede delle qualità eccelse. Nel finale Schubert, dopo aver sicuramente toccato il cielo nell’Adagio, scende, per cosi dire, a casa dove trova un bel tema di carattere popolare ungherese e conclude questa grandiosa composizione con una danza piena di gioia e di vita.
(Una nota personale: 17 e 19 gennaio 1995 a Mosca il Quartetto “Borodin” ha celebrato i propri 50 anni di esistenza. A questi due concerti presero parte anche alcuni amici del Quartetto, in particolare Mstislav Rostropovic che ha eseguito nel Quintetto di Schubert la parte del secondo violoncello. Famoso anche per le sue battute spiritose, in quella occasione disse: “Mi sento come dietro il muro di Berlino!” Come si sa, la parte del primo violoncello nel “Borodin” per quasi 50 anni ha occupato Valentin Berlinskij di cui cognome significa proprio “di Berlino”).

Commento a cura di Valerij Voskobojnikov