Saverio Mercadante (1795 – 1870) – Concerto per flauto e orchestra d’archi in mi minore
I. Allegro maestoso
II. Largo
III. Finale. Rondò russo
Il nome e la fama di Mercadante, artista precoce e versatile in ogni genere di musica, sono legati soprattutto alla sua vasta produzione di melodrammi (in totale una sessantina) che furono apprezzati e applauditi nella prima metà del secolo scorso sulle scene dei principali teatri italiani, senza contare le numerose rappresentazioni a Vienna, Parigi, Madrid e Lisbona. In particolare, vanno ricordate due opere, Il Giuramento e Il Bravo, che ebbero un trionfale battesimo alla Scala rispettivamente nel 1837 e nel 1839 e sono considerate tra le più indicative della sua personalità di musicista fornito di solidi mezzi tecnici ed espressivi e con caratteristiche di scrittura e di stile così rilevanti da recare un notevole contributo al melodramma romantico.
Non a caso Mercadante fu circondato di molta autorità in vita e venne stimato da Rossini, da Bellini, da Verdi e dallo stesso Liszt, che ebbe parole di vivo elogio per l’abilità e il gusto strumentale del compositore di Altamura e trascrisse le sue melodie nelle Soirée italienne. Six amusements (1838). Visse in Spagna, Portogallo, Parigi. Per trent’anni, dal 1840 fino alla morte avvenuta nel 1870, diresse il conservatorio di Napoli. L’esplosione e l’affermarsi del «fenomeno» verdiano contribuirono a ridimensionare l’opera di Mercadante, anche se i meriti e l’importanza storica del musicista rimangono.
Del resto, il «Concerto per flauto e orchestra», che è un lavoro giovanile scritto intorno al 1819, fornisce un esempio abbastanza eloquente della capacità e dell’abilità di questo artista, che seppe far tesoro, fra l’altro, della musica strumentale del Settecento napoletano.
Il Concerto, che il musicologo Agostino Girard, su indicazione di Giovanni Carli Ballola, ha ritrovato tra le carte della biblioteca del Conservatorio di S. Pietro a Majella ed ha revisionato nel 1973 tagliando alcune ripetizioni specie nell’ultimo movimento, si articola in tre tempi e ha un impianto tradizionale. Il secondo tempo può considerarsi come una breve romanza senza parole, un momento di riposo tra un Allegro e un Rondò di freschi spunti melodici e strumentali in cui il flauto più che dialogare con l’orchestra svolge un ruolo di primus inter pares, come se si trattasse di una parte di canto nel melodramma.
Rossini – Duetto per violoncello e contrabbasso in re maggiore (1824)
1. Allegro
II. Andante molto
III. Allegro zingarese
E se la purezza del suono e la melodicità di questo Concerto di Mercadante ci lascia di buon umore, nel Duo di Rossini c’è davvero da divertirsi: il genio pesarese, “il sole italiano”, definito da Giuseppe Mazzini “un titano […] di potenza e d’audacia […] il Napoleone d’un’epoca musicale”, oltre alle famose opere liriche ci lascia una piccola serie di brani cameristici tra cui un Duetto per violoncello e contrabbasso composto a Londra alla fine del 1824 e dedicato a Sir David Salomons, violoncellista dilettante, che lo avrebbe eseguito assieme al famoso e virtuoso contrabbassista, Domenico Dragonetti. Per il loro carattere scarno e intimo i duetti per strumenti ad arco sono generalmente destinati allo studio e all’intrattenimento domestico, amatoriale, e raramente sono eseguiti in pubblico; Rossini, peraltro, consegna all’ascolto un gioiello di estrema ingegnosità armonica e contrappuntistica ed anche nell’insolito abbinamento di violoncello e contrabbasso. Rossini inventa un gioiello di estrema ingegnosità armonica e contrappuntistica sfruttando in modo comico le possibilità dei due strumenti che imitano le voci del basso e del tenore: ci vuole senza dubbio del vero virtuosismo per affrontare questi “scherzi”. La composizione si articola in tre movimenti: Allegro, Andante molto, Allegro zingarese. In tutti e tre i movimenti gli strumenti hanno ruoli paritari scambiandosi alternativamente la funzione melodica e quella d’accompagnamento, l’uno sostenendo i virtuosismi dell’altro.
W.A. Mozart – Sinfonia n. 29 K. 201
I. Allegro moderato
II. Andante
III. Menuetto. Allegretto – Trio
IV. Allegro con spirito
Terminata il 6 aprile 1774, la Sinfonia K. 201/186a rappresenta – insieme alle Sinfonie K. 200 e K. 183 – una autentica svolta all’interno della produzione sinfonica mozartiana; le tre composizioni segnano infatti l’ultima tappa di un lento processo di liberazione dall’influenza dominante del gusto italiano appreso fin da bambino tramite la decisiva influenza di Christian Bach. Questo orientamento, avviato già all’indomani del terzo viaggio in Italia e del trionfo milanese del Lucio Silla (inverno 1772-73), poté trovare esiti adeguati solamente dopo il viaggio a Vienna della successiva estate 1773. Nella capitale imperiale egli ebbe frequenti e proficui contatti con le più significative tendenze contemporanee (prima fra tutte quella di Joseph Haydn), e decise di abbandonare quella struttura in tre concisi movimenti e quei limpidi contrasti di matrice italiana.
Il primo movimento Allegro moderato è un miracolo di equilibrio tra freschezza lirica e ricchezza di elaborazione: il tema principale, con il suo salto di ottava in giù, le note ribattute, il suo tenero palpitare e le appoggiature semitonali non copiano i modelli haydniani ma dimostrano immediatamente l’originalità e l’infinita capacità inventiva di Mozart, allora diciottenne. Nell’Andante a 2/4, da suonare “con sordino”, arricchito dalla presenza tutt’altro che complementare delle coppie dei fiati, corni in A e oboi, si dimostra la maestria di Mozart, ormai autore di una notevole produzione quartettistica immediatamente precedente, nel trattare la scrittura a quattro parti. Nella Coda agli archi viene ordinato “senza sordino” e il tema molto arricchito polifonicamente si ode per l’ultima volta. Il Minuetto, con ritmo puntato e con il Trio lirico, sembra un’eco di serenate cedendo al gusto della danza haydniana. Il Finale Allegro con spirito presenta un chiassoso tema da Sinfonia italiana; ma la sezione di sviluppo è di una estensione insolita, e viene condotta attraverso implicazioni quasi drammatiche, secondo un tratto peculiare dello stile dell’autore maturo.