George Enescu (1881-1955) – Quintetto per pianoforte e archi op. 29
1. Con molto molto moderato
2. Andante sostenuto e cantabile
3. Vivace, ma non troppo
4. Più tranquillo
Ogni tanto al nostro festival si ascolta la musica di George Enescu, ma non abbiamo mai parlato della sua straordinaria personalità, nella quale in un modo davvero fenomenale si univano un grande compositore, un geniale violinista, meraviglioso pianista e nemmeno magnifico direttore d’orchestra. Da questo punto di vista la sua figura si potrebbe paragonare a quella di Ferruccio Busoni, un pianista che spesso viene menzionato come tra i più importanti di tutte le epoche (ai livelli di Liszt e di Rachmaninov), ma che si considerava prima di tutto un compositore. Tornando ed Enuescu, si sa pochissimo della sua opera lirica Edipo Re, sulla quale egli lavorò per venticinque anni, ma Enescu ha dovuto pagare personalmente 50 mila franchi per vederla in un teatro, a Parigi, nel 1936. Certamente la fama di Enescu come violinista fu mondiale: David Ojstrach disse che come violinista egli possedeva una eccezionale espressività dell’articolazione dell’arco, non facile da imitare, che gli permetteva di ottenere un’espressività quasi di recitazione in ogni nota (qualità ereditata da Yehudi Menuhin, suo miglior allievo). Delle qualità di Enescu come pianista testimonia la confessione di Arthur Rubinstein: “Era un pianista talmente meraviglioso, che io persino lo invidiavo!” Come direttore d’orchestra: basta dire che nel 1937 è stato lui a sostituire Arturo Toscanini a capo dell’orchestra sinfonica di New York.
Nella sua vita Enescu ha cambiato molte volte la propria residenza: da giovane ha studiato a Vienna, poi a lungo si è fermato a Parigi dove conobbe e collaborò con i massimi musicisti francesi:
studiò con Jules Massenet e Gabriel Fauré, suonò con Alfredo Casella e Louis Fournier, con Henri Casadesus, Fournier e Fritz Schneider, con Pablo Casals, Fritz Kreisler, Eugène Ysaÿe, Alfred Cortot, Jacques Thibaud, Maurice Ravel e Béla Bartók. Durante la guerra contro il nazismo Enescu si è trovato in Romania, ma appena finita si recò in URSS dove suonò con Ojstrach il Doppio Concerto di Bach per due violini e la Sonata di Grieg per violino e pianoforte in qualità di pianista. Il 1° aprile 1945 Enescu dirige a Bucarest la Settima sinfonia di Dmitrij Šostakovič. Dal 1946 in poi Enescu vive a Parigi e non accetta di rientrare in patria nonostante gli inviti da parte delle autorità della “nuova Romania”. Si spense a Parigi nel 1955.
Tutti conoscono le Rapsodie romene di questo compositore, e sono veramente delle musiche molto riuscite che sposano felicemente il folklore e la grande maestria, ma a noi interessa questo Quintetto, dei primi anni ’40, dedicato alla memoria della principessa Elena Bibescu, mecenate di Enescu e pianista eccellente, che aiutò il giovane romeno a Parigi agli inizi della sua carriera. Il Quintetto non è mai stato eseguito durante la vita del compositore e per la prima volta è stato suonato a Bucarest nel 1964. Nel Quintetto per pianoforte di George Enescu emerge una voce potente e distintiva che è diversa da qualsiasi altra musica del ventesimo secolo. Non è di facilissimo ascolto! I quattro movimenti del Quintetto per pianoforte sono raggruppati in due “blocchi musicali dominanti”. Il primo movimento (Con moto molto moderato) emerge all’improvviso, sembra che ci stiamo unendo alla musica effimera che è già in corso. Il musicologo Martin Anderson descrive i mutevoli colori impressionistici della musica come una “polifonia straordinariamente plastica: una voce sussidiaria prenderà la linea principale, o la unirà all’unisono, o la ombreggerà all’ottava, e poi sparisce in un’altra direzione veloce come una libellula che lascia una canna”. La musica si allontana con una melodia lamentosa nel violoncello, avvolta da un languido bordone in si bemolle negli altri strumenti. Senza interruzione, entriamo nel secondo movimento (Andante sostenuto e cantabile). Sereno ma misterioso, sembra un’estensione di ciò che è venuto prima. Il secondo blocco strutturale del Quintetto inizia con lo scintillante Vivace, ma non troppo. Questo terzo movimento ci porta in una corsa surreale tra voci giocose e vivaci che danzano come raggi di sole. In alcuni momenti, c’è un senso del movimento vivace e senza sforzo che incontriamo nella musica dell’insegnante di Enescu, Gabriel Fauré. La sezione finale porta allusioni alle danze popolari rumene tra audaci macchie di colore. Nella coda, la musica raggiunge nuove vette eroiche, concludendo con un brillante lampo di energia. Potrebbero aiutare ad ascoltare il Quintetto le indicazioni che ho trovato nella partitura: “carezzante, delicatamente, malinconico, esitando, flessibile, sordamente” ecc. Dal manoscritto risulta che i primi due movimenti erano pronti il 24 settembre 1940, ma non ci sono altre date e probabilmente Enescu continuava a perfezionare questa opera fino al 1949.
Adoro questo aneddoto sulla generosità e umiltà di Enescu: una volta a Parigi uno sconosciuto e mediocre violinista supplicò Enescu di accompagnarlo al concerto, per attirare l’attenzione del pubblico. Enescu non se la sentì di rifiutare e chiese al lì presente Alfred Cortot di girargli le pagine. All’indomani un giornale parigino, con la tipica spiritosaggine francese, così recensì questo avvenimento musicale: “Un curioso concerto ebbe luogo ieri sera. Colui che avrebbe dovuto suonare il violino, chissà perché suonava il pianoforte; colui che avrebbe dovuto suonare il pianoforte girava le pagine, e invece colui che avrebbe dovuto girare le pagine – suonava il violino…”
R. Schumann – Trio per violino, violoncello e pianoforte n. 1 op. 63
Mit Energie und Leidenschaft (Con energia e passione)
Lebhaft, doch nicht zu rasch (Vivace, ma non troppo veloce). Trio
Langsam, mit inniger Empfindung (Lentamente, con sentimento profondo). Bewegter
Mit Feuer (Con fuoco). Sempre più veloce
Robert Schumann scrisse tre Trii per violino, violoncello e pianoforte: i primi due (op. 63 e op. 80) furono composti nel 1847, il terzo (op. 110) nel 1851. La pagina di cui ci occupiamo ora è forse la più riuscita delle tre; la sua inquietudine, la sua passione, il lirismo intenso, il perfetto equilibrio fra i tre strumenti toccano vertici che Schumann non riuscì più a raggiungere nei due Trii successivi. Il movimento iniziale, Mit Energie und Leidenschaft, è scritto nella forma-sonata, basata sul contrasto-opposizione di due gruppi tematici. L’Esposizione si apre con il primo tema, ardente e appassionato, che sembra nascere dalle viscere della terra; le note del violino si «aprono» gradualmente verso l’alto, come a cercare la luce, sopra il ribollire incessante degli arpeggi del pianoforte. È la «passione» romantica schumanniana, che abbiamo tante volte udito nelle sue composizioni pianistiche. Il secondo tema è più cantabile ma simile al primo nello slancio ascendente. Attenzione al punto dove riappare lo Schumann «poeta»: dopo una pausa con corona, udiamo un motivo nuovo, straordinario per timbro e colore, esposto dal violoncello e dal violino Am steg (al ponticello, sfruttando cioè i suoni armonici dei due strumenti) e sorretto dagli accordi in pianissimo del pianoforte, per il quale Schumann prescrive l’uso del pedale di “una corda”. È un momento magico, notturno, quasi impalpabile, un raggio di luce divina che illumina per un attimo le angosce e le passioni umane. Il movimento successivo è uno Scherzo (Lebhaft, doch nìcht zu rasch), dove dominano i ritmi ben scanditi del pianoforte e le gioiose cavalcate ascendenti degli archi. Da sottolineare l’impeto ritmico, che si evidenzia negli accordi sforzati di pianoforte e nel ritmo puntato degli archi. Il Trio centrale presenta un carattere più melodico e delicato che crea un forte contrasto con lo Scherzo precedente. Il movimento lento (Langsam, mit inniger Empfindung) è strutturato nella canonica forma A-B-A: la parte A è un bell’esempio di liricità schumanniana, scarna, tesa, quasi dolorosa mentre la parte B offre ai due archi la possibilità di duellare amabilmente sopra le terzine in accordi del pianoforte. Il finale, Mit Feuer, è un’altra pagina che ci riporta al periodo delle opere pianistiche di Schumann. È il pianoforte, infatti, a condurre il gioco, a trascinare con entusiasmo violino e violoncello attraverso motivi pieni di gioia di vivere, di serenità ritrovata dopo i dubbi e le riflessioni dei movimenti precedenti.