Saturday, August 31 – 6.30 pm

Teatro dei Vigilanti "Renato Cioni" | Portoferraio

Elba Festival Prize 2024 – Festival Soloists – Mozart, Skriabin, Chopin, Fauré

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Info

Arielle Beck piano: Elba Festival Prize 2024 | Rossana Calvi oboe | Matthew Hunt clarinet | Andrea Zucco bassoon
| Jukka Hariju horn
W.A. Mozart Quintet for piano and wind instruments K. 452
A. Skriabin Deux Impromptus “à la Mazur” op. 7
F. Chopin Barcarola op. 60
G. Fauré Barcarola n. 3, op. 42
A. Skriabin Sonata n. 4, op. 30

Wolfgang Amadeus Mozart Quintetto per pianoforte e fiati K. 452

Largo – Allegro moderato

Larghetto

Rondò: Allegretto

 

Il Quintetto per fiati a pianoforte di Mozart è un autentico gioiello, sia per la bellezza dei suoni, che per la perfezione della costruzione e delle proporzioni cameristiche. L’autore sapeva di aver creato un capolavoro e così, dopo averlo composto, il 30 marzo del 1784, lo comunicava al padre: «Ho composto due grandi concerti e inoltre ho scritto un Quintetto, che ha prodotto davvero i più grandi applausi. Considera questo Quintetto il più bel lavoro che io abbia mai composto;è scritto per oboe, clarinetto, corno, fagotto e pianoforte. Vorrei che tu l’avessi ascoltato con le tue orecchie. E con quale grazia venne eseguito!» Circa dieci anni dopo, nel 1796, il suo degno erede, Ludwig van Beethoven provò a comporre un Quintetto per lo stesso organico (op.16), senza però raggiungere un simile risultato. Secondo Bernhard Paumgartner “Esso [il Quintetto] rimane ancor oggi il più nobile esempio di musica da camera per strumenti a fiato”.

La vita di Mozart a Vienna dal 1781 si svolgeva in un clima di grande creatività: in quel felice periodo nascono l’opera Il ratto dal serraglio, i sei Quartetti per archi, dedicati a Haydn, e, soprattutto, i Concerti per pianoforte e orchestra dal KV 449 in poi. Il Quintetto è testimone anche della speciale attenzione che Mozart riserva agli strumenti a fiato nelle proprie partiture; il compositore dimostra, in queste splendide pagine, la perfetta conoscenza dei quattro strumenti, nessuno dei quali è predominante né messo in secondo piano: i quattro fiati accompagnano il pianoforte senza però rinunciare alle parti solistiche.

Alfred Einstein sostenne che la “fratellanza” fra i cinque strumenti si manifesta nella totale mancanza dei “leader”: persino il clarinetto condivide il ruolo di conduzione con l’oboe; nemmeno il corno pretende di essere sopra agli altri. La costruzione: il Largo di apertura è

maestoso; il successivo Allegro moderato è “pastorale”, con un breve sviluppo; l’innocente Larghetto prima della ripresa all’improvviso ci porta fuori, “nella profondità sconosciuta delle modulazioni” ed infine il Rondò con il suo tema da “regnante in giubilo”. In questo Rondò c’è persino una Cadenza in tempo, per ciascuno degli strumenti a fiato. Mai viene disturbato l’equilibrio e l’alternanza dei fiati con il pianoforte.

Mozart scrisse il Quintetto in previsione di un concerto da tenersi nel Teatro di Corte il 1° aprile del 1784. È interessante leggere l’intero programma del concerto, anche come documento sulle gigantesche proporzioni delle serate musicali dell’epoca:

1) Una Sinfonia con trombe e timpani

2) Un’aria cantata dal Signor Adamberger

3) Il Signor Mozart, Kapellmeister, suonerà un nuovo Concerto sul fortepiano

4) Una quasi nuova Sinfonia

5) Un’aria cantata da M.lle Cavalieri

6) Il Signor Mozart improvviserà solo sul Fortepiano

7) Per concludere, una Sinfonia

Il 10 giugno 1784 la famiglia Ployer organizzò un concerto a Döbling e in quell’occasione Mozart eseguì il Quintetto di fronte al musicista napoletano Paisiello che proveniva da San Pietroburgo. In una lettera al padre del 9 giugno 1784, Wolfgang scrive: «Il Signor Ployer ha organizzato un concerto a Döbling: la signorina Babette eseguirà il suo nuovo concerto in Sol [a lei Mozart ha dedicato il proprio Concerto KV 453] e io il Quintetto [KV 452]; dopo suoneremo insieme la grande Sonata per due pianoforti [KV 488]. Ho intenzione di andare a prendere Paisiello, perché voglio che senta la mia allieva e il mio concerto».

La parte solistica del concerto contiene le opere dei tre autori, francese, polacco e russo, con brani che legano molto bene insieme, creando immagini liriche, romantiche e molto simili tra di loro, anche se in stili diversi.

 

Gabriel Fauré Barcarola n. 3, op. 42

 

La personalità di Gabriel Fauré (1845-1924) riveste un ruolo importante nella storia della musica e della cultura francese: compositore, organista, didatta, organizzatore musicale e grande patriota, eroe dell’assedio di Parigi durante la Guerra Franco-Prussiana. Fauré ebbe ancora in vita il massimo riconoscimento della Nazione, mentre il suo ruolo di direttore del Conservatorio Superiore di Parigi rivela quanto fosse considerato tra i musicisti del suo tempo, in particolare per il ruolo didattico e educativo. Cento anni fa egli ricevette l’onore dei funerali di Stato alla Église de la Madeleine e le sue spoglie riposano nel Cimitero di Passy a Parigi. A volte definito “Schumann francese” il compositore, riconosciuto per il suo genio armonico, è anche considerato il maestro della melodia francese. Allievo di Camille Saint-Saëns egli a sua volta nel 1896 succedette a Jules Massenet come professore di composizione al Conservatorio di Parigi dove insegnò a grandi compositori come Maurice Ravel, Georges Enesco, Alfredo Casella, Lili e Nadia Boulanger.

Le tredici Barcarolles, composte in un periodo di quasi quattro decenni (1882-1921), sono altamente rappresentative della sua produzione per pianoforte e sono considerate le sue opere più caratteristiche. Riflettono il suo distacco dall’idioma romantico, in particolare quello di Chopin e Mendelssohn, sviluppando un linguaggio musicale indipendente in cui ha combinato la tradizione e l’emergente modernismo.

In opposizione allo stile armonico e melodico, molto innovatore per il suo tempo, i sottili motivi ritmici sono ripetitivi, con modulazioni similari a quelle che si possono trovare nella musica di Brahms. Così Fauré sottende spesso la linea melodica con un flusso continuo che divide le opere in grandi curve dinamiche. Ciò si può avvertire soprattutto nelle melodie o ancor di più nelle opere per piano (Notturni e Barcarole) che sovrappongono gli arpeggi a una melodia, con delle sostituzioni di dita naturali per l’organista. La sua opera pianistica in generale si richiama a

certi pezzi di Schumann o di Chopin, compositori che Camille Saint-Saëns aveva fatto scoprire al giovane Gabriel Fauré.

 

Frédéric Chopin Barcarola op. 60

 

In una lettera ai parenti, del 12 dicembre 1845 Chopin, appena rientrato a Parigi da Nohant, scriveva: “Adesso vorrei finire la Sonata con il violoncello, la Barcarola e qualcosa ancora che non so come chiamerò” facendo allusione alla Polonaise-Fantasie op. 61. Iniziò a comporre la Barcarola ancora a Nohant. L’inverno nella capitale fu particolarmente rigido e il musicista si dedicò soprattutto a completare alcune composizioni. La prima esecuzione avvenne a Parigi alla Salle Pleyel il 26 febbraio 1848 e fu l’ultimo concerto tenuto dal compositore; le condizioni fisiche di Chopin erano ormai molto compromesse al punto che la ripresa del brano, indicata in partitura forte e fortissimo, venne la lui eseguita tutta in pianissimo proprio per la mancanza di forze. 

La barcarola tradizionalmente era una forma musicale usata come aria vocale e riecheggiava il canto dei gondolieri veneziani. Chopin invece scrive una composizione simile ad un notturno; d’altronde non vi è nulla in questo brano che lo possa legare in qualche modo a Venezia, città dove Chopin non era mai stato. Utilizza il termine “barcarola” alludendo al ritmo cullante che aveva escogitato e che, in parte, ritroviamo anche nelle Ballate op. 38 e op. 52. Tutta la Barcarola è caratterizzata da suono dolce e molto cantabile; l’evoluzione porta progressivamente alla conclusione piena di estasi e passione. Oltre a questo lato tipicamente chopiniano è necessario sottolineare una nuova libertà armonica che assume aspetti pressoché impressionistici; non a caso Claude Debussy e Maurice Ravel studiarono e ammirarono questa composizione. Ravel in particolare ne fu affascinato tanto da scrivere: «Quel tema in terze agile e delicato è costantemente vestito di armonie smaglianti. La linea melodica è continua. Un momento, una melodia si sprigiona, resta sospesa e ricade mollemente attirata da accordi magici. L’intensità aumenta. Sorge un nuovo tema di un lirismo magnifico, tutto italiano. Tutto si calma. Dal grave si innalza una figura rapida, fremente, che sfuma in armonie preziose e tenere e si pensa a una misteriosa apoteosi».

 

Aleksandr Skrjabin Due Improvvisi “à la Mazur” Op. 7 (1891-1892)

 

Nel suo libro dedicato al compositore russo, Luigi Verdi scrive: «Come indica il titolo di questi pezzi pianistici [“Improvvisi alla mazurka”] l’improvviso, composizione musicale a carattere d’improvvisazione, fonde qui le sue movenze con quelle della mazurka. Il primo brano è in Sol diesis minore, malinconico, poco originale, il secondo in Do diesis minore, molto più interessante del precedente, con sfasamenti ritmici complessi nella parte centrale, nella ricerca di una fluidità melodica emancipata dalle rigide scansioni della battuta». Aggiungerei però che nel primo brano il giovanissimo compositore costruisce la melodia in modo assai personale, con una flessuosa linea cromatica e di espressione sì malinconica, ma per niente banale! La grazia e il buongusto non hanno mai tradito questo originalissimo musicista.

Aleksandr Skrjabin è appena diplomato al Conservatorio di Mosca con la “piccola medaglia d’oro” (a differenza di Rachmaninov, suo compagno di studi, premiato con il massimo dei voti) a causa dell’opposizione da parte del suo insegnante Anton Arenskij, critico nei confronti delle “sperimentazioni” del giovane Skrjabin. Si dedica all’attività concertistica tanto assiduamente da procurarsi una forte tendinite, “grazie alla quale” compone due brani per la mano sinistra (Op. 9). Nel 1882, durante un concerto, l’intraprendente zia di Skrjabin, Ljubov’ Aleksandrovna, propnse la pubblicazione delle opere del nipote a Boris Jurgenson. Fu così che senza alcun compenso per l’autore la casa editrice pubblicò i Due Improvvisi Op. 7 e altri lavori giovanili, in cui risuona un genuino pathos romantico.

Sono ben note le radici chopiniane in Aleksandr Skrjabin: all’apparizione delle sue miniature per pianoforte (Preludi, Mazurke, Improvvisi) negli anni 1888-1897 César Cui esclamò: «Si potrebbe pensare che è stata trovata una valigia piena di opere inedite di Chopin!», mentre tra Heinrich Neuhaus e Vladimir Sofronickij si discuteva del rapporto tra questi due compositori, poeti del pianoforte: il primo parlava di un piccolo Skrjabin seduto sulle ginocchia del grande Chopin, mentre l’altro (in assoluto il migliore interprete skrjabiniano oltre ad essere stato suo genero) poneva questo confronto esattamente al contrario, parlando del grande Skrjabin che teneva in ginocchio il più piccolo Chopin…

 

Aleksandr Skrjabin Sonata n. 4, op. 30

 

Diverso il caso della Quarta Sonata in Fa diesis maggiore, composta nel 1903. Dopo la pubblicazione l’autore rende noto il “programma” nascosto nella Sonata: descrivere una stella lontana, la danza folle, il volo verso la luce eterna, verso il sole (“Ti bevo,  mare di luce!”).

La Sonata si apre con un misterioso “accordo di Tristano”, affascinante Andante in ritmo di 6/8, pervaso da un senso di languore; in tutto il movimento regna lo stesso tema, variato ed arricchito. Verso la fine dell’Andante, un paio di volte si accenna la melodia del secondo movimento Prestissimo volando che poi parte in grande velocità, mentre il secondo tema, esposto con accordi pesanti, è un breve corale eroico. Questo magnifico volo si conclude con una pagina molto sonora, trionfante, gioiosa e di straordinario effetto pianistico.

 

Commento a cura di Valerij Voskobojnikov