Questo programma, che prevede la partecipazione di due protagonisti, clarinetto e pianoforte, comprende giustamente non solo autori di brani per lo strumento a fiato come Schumann, Alban Berg ed Igor’ Stravinskij, ma anche Johannes Brahms, omaggiato in questo modo per la sua indimenticabile tardiva passione per il clarinetto di Richard Mühlfeld e dei suoi magnifici opus 114, 115 e 120 (rispettivamente il Trio, il Quintetto e le due Sonate con la partecipazione del clarinetto).
Johannes Brahms Sonata per pianoforte n. 2 Op. 2 in Fa diesis minore
Allegro non troppo ma energico
Andante con espressione
Scherzo: Allegro – Trio: Poco più moderato
Finale: Sostenuto. Allegro non troppo e rubato
La serata si apre con una composizione di Brahms per pianoforte solo. Ancora giovanissimo, il compositore viene ospitato da Robert e Clara Schumann quando ha appena concluso la Sonata in Fa diesis minore. Accolto con entusiasmo dai due musicisti, Brahms, modestissimo e assai severo con se stesso, decide allora di pubblicare questa opera attribuendole il numero 2, anche se la successiva Sonata in Do maggiore sarà scritta più tardi. Siamo nel novembre del 1852, Brahms ha diciannove anni e deve decidere se continuare ad esibirsi come pianista o se dedicarsi alla composizione. Mentre i musicologi lo definiranno compositore “classico” nella forma e “romantico” nel contenuto, il mio grande Maestro Heinrich Neuhaus spiegava la difficoltà per Brahms di sostenere il peso della responsabilità di “salvare” questa forma classica sotto l’enorme pressione della passione per la musica romantica. Nella sua Seconda (in realtà, come abbiamo visto, la sua prima) Sonata la natura poetica e passionale prorompe, il suo virtuosismo pianistico non ha né confini né freni, la fantasia nel variare i temi, originali o presi in prestito (come il tema dell’Andante con espressione da un canto d’inverno del poeta medievale Kraft von Toggenburg), è già straordinaria e la maestria non manca neppure nell’arte della polifonia. Lo Scherzo: Allegro che inizia all’attacca sviluppa lo stesso tema dell’Andante ma cambia completamente carattere e diventa agitato e molto drammatico. Il Trio è affascinante, amabile e anticipa le stupende melodie del Brahms maturo degli Intermezzi. La costruzione del Finale: Sostenuto Allegro non troppo e rubato è di straordinaria libertà, questa parte conclusiva contiene elementi rapsodici di improvvisazione, momenti di leggerezza e di banalità melodica, cioè allusione alle scene popolari, cadenze virtuosistiche ecc. Dopo l’incontro con la coppia Schumann, inizia una storica amicizia. Presentate da Schumann sulla «Nette Zeitschrift für Musik» le opere di Brahms furono edite nell’autunno da Breitkopf und Härtel. La Sonata vi appare come Op. 2 e reca una dedica a Clara Schumann.
Igor’ Stravinskij Tre pezzi per clarinetto solo (1918)
Sempre piano e molto tranquillo
Metronomo = 168
Metronomo = 160
I Tre pezzi per clarinetto solo sono stati scritti nel 1919 a Morges, in Svizzera, per il clarinettista dilettante Werner Reinhart, mecenate della prima esecuzione della Histoire du Soldat (successivamente, in segno di gratitudine, Stravinskij dedicò l’opera a Reinhart, e gli diede anche il manoscritto originale). Reinhart continuò a sostenere economicamente le opere del giovane compositore russo, tanto che nel 1919 finanziò una serie di concerti della sua musica da camera recente. Grande appassionato di musica e di Stravinskij, Werner Reinhart fondò una libreria musicale Stravinskiana nella sua casa di Winterthur. Stravinskij disse di lui: “Per dimostrargli la mia gratitudine e amicizia, ho scritto per lui e dedico a lui i Tre pezzi per clarinetto solo, uno strumento che egli volentieri suona per la sua cerchia intima di amici”. Ascoltando i Tre pezzi non si può fare a meno di ricordare le canzoni del periodo 1913-1915, come la Berceuse du chat e soprattutto leTre poesie della lirica giapponese (1913), le quali hanno molte attinenze con gli stessi pezzi per clarinetto, sia per lo stile che per i caratteri timbrici. D’altra parte in questi pezzi si dimostra l’interesse che il compositore nutriva verso il folklore russo, soprattutto per la specifica cantabilità popolare monodica, arricchita con gli effetti della polifonia nascosta. Da notare subito la richiesta dell’autore di utilizzare due tipi di clarinetto: uno in La e l’altro in Si bemolle, considerando i loro timbri diversi.
Il primo dei Tre pezzi, da eseguirsi “sempre piano e molto tranquillo”, è una monodia che si muove nella zona grave dello strumento in un’atmosfera molto sommessa, senza urti, tranne la
breve accelerazione e l’aumento di intensità dell’ultima misura. Si noti l’accostamento con il primo e il terzo pezzo delle Poesie giapponesi. Il secondo pezzo, di carattere brillante, non porta alcuna divisione in battute e si propone come un’improvvisazione ricca di decorazioni e di arabeschi; internamente è diviso in tre piccole sezioni, con una parte centrale più pacata, nella zona bassa dello strumento. Il terzo pezzo è stato avvicinato, per il suo carattere, al Tango e al Ragtime dell’Histoire, sia per il taglio ritmico continuamente variato sia per il carattere estroso e
brillante della linea melodica.
Sul manoscritto dei Tre pezzi, Stravinskij precisò: “Rispettare tutti i respiri, accenti e movimento metronomico.” Come si sa, Stravinskij inoltre affermava che la musica doveva essere trasmessa e non interpretata, e che il miglior interprete è soprattutto un infallibile esecutore, con una data padronanza tecnica non facilmente acquisibile.
Alban Berg Quattro pezzi per clarinetto e pianoforte, Op. 5
Mäßig
Sehr langsam
Sehr rasch
Langsam
Nelle nostre presentazioni finora non abbiamo mai parlatodiffusamente di Alban Berg, uno dei migliori e più fedeli allievi di Arnold Schönberg insieme al quale, oltre ad Anton Webern, faceva parte della seconda Scuola di Vienna; la sua attività compositiva andò sempre più verso l’emancipazione dalla tonalità, per approdare poi all’atonalità vera e propria, e alla dodecafonia. La sua vita e la sua attività professionale furono segnate da problemi di salute, nonostante l’aspetto estremamente attraente ed aristocratico: Igor’ Stravinskij che sicuramente non era campione di bellezza, sarcasticamente definiva il collega austriaco “troppo bello e troppo elegante”. Berg iniziò ad occuparsi di composizione abbastanza tardi e solo negli anni 1904-1908 prese lezioni private da Schönberg, mentre prima addirittura lavorava come impiegato statale. La sua estetica personale, i suoi gusti artistici, si formarono nell’atmosfera dell’espressionismo tedesco e del tardo romanticismo. Tutto sommato Alban Berg non ha lasciato una produzione molto voluminosa, ma alcune sue opere sono dei veri capolavori e occupano un posto importantissimo nella musica del XX secolo; è sufficiente citare la sua prima opera, Wozzeck, tratta dal dramma teatrale “Woyzeck” di Georg Büchner ed ispirato ad un fatto di cronaca nera; il Concerto per violino e orchestra “Alla memoria di un angelo”, la Lyrische Suite per quartetto d’archi, il Kammerkonzert per pianoforte, violino e tredici strumenti a fiato, e
diverse opere da camera, Lieder, l’opera incompiuta Lulu, completata da Friedrich Cerha e rappresentata nel 1979 a Parigi e poi al Teatro alla Scala.
Scrive Sandro Cappelletto: «I Quattro pezzi per clarinetto e pianoforte Op. 5 scritti nel 1913 (la prima esecuzione avverrà, a Vienna, nel 1919), sono dedicati ad Arnold Schönberg e concepiti, nella scelta dei due strumenti protagonisti, come omaggio alle due Sonate Op. 120 di Johannes Brahms, composte nel 1894: dunque, allora, erano memoria recente. Nelle scansioni del breve, denso lavoro Theodor Adorno amava rintracciare lo schema formale di una Sonata in quattro movimenti: Allegro di sonata – Adagio – Scherzo – Finale. Ma a Berg la forma chiusa sta un po’ stretta. Qui, propone una musica – come ha scritto Pierre Boulez – ‘resa con un gesto appena accennato di cui si percepisce che potrebbe continuare, diffondersi, moltiplicarsi. Come gli abbozzi di racconti che possiamo leggere nel Diario di Kafka, questi brani ci lasciano sospettare di prolungamenti non espressi oltre la scrittura reale, chiusa». E ancora Cappelletto: «’Echi’ scrive Berg per la parte del clarinetto: … il dialogo tra le due voci si distende e si ricompone, può essere univoco o difforme, velocissimo e accennato o più riconoscibile, allontanarsi o avvicinarsi, sovrapponendo staticità e mobilità, suoni descrittivi e allucinati, con quel realismo spettrale che ritroveremo nel Wozzeck, con quel desiderio di cantabilità pudica e profonda che vive nella Suite lirica, nel Concerto per violino”.
Il 30 novembre 1934 Erich Kleiber diresse la Suite di Pezzi sinfonici dall’opera Lulu a Berlino: fu l’ultima esecuzione di musica di Berg nella Germania nazista, che poi censurò le sue composizioni come “musica degenerata”.
Resta da augurare che nella rinnovata acustica del nostro amato Teatro Napoleonico si sentiranno bene tutte le incredibili sfumature soprattutto nei “piani” di questi bellissimi brani.
Robert Schumann Fantasiestücke per clarinetto e pianoforte Op. 73
Zart und mit Ausdruck
Lebhaft, leicht
Rasch, mit Feuer
Il programma si conclude con i Pezzi fantastici (Fantasiestücke) Op. 73 di Robert Schumann per clarinetto e pianoforte composti nel 1849, nel periodo forse più tranquillo, più felice e più fecondo nella sua vita, trascorso a Dresda insieme all’amata moglie Clara e la loro numerosa prole. Il titolo precedente, Soireestücke, poteva indicare la destinazione di questi brani per l’esecuzione casalinga, esattamente per “fare musica” in casa, la Hausmusik, la sera, con l’uso obbligatorio del pianoforte e qualche altro strumento. I primi interpreti dell’Op. 73 sono stati il clarinettista locale Johann Gottlieb Kotte e la stessa Clara Schumann; ma siccome fin dall’inizio i tre brani erano destinati anche al violino ed al violoncello (con ovvi mutamenti di ottava) in seguito li suonò spesso anche il famoso violinista Joseph Joachim. Da precisare che i limiti impliciti nella destinazione privata non devono far pensare che si tratti di brani scritti dalla mano di un compositore distratto; il loro principale interesse risiede proprio nella cura di ogni piccolo dettaglio, nella stesura di una scrittura strumentale preziosissima e sapientemente dosata.
Forse il titolo ancora più preciso sarebbe “Pezzi-fantasie”, perché proprio il carattere “fantastico”, così familiare a Schumann, trova la sua espressione nella felice unione del comune e del contrastante: il primo brano, Zart und mit Ausdruck, presuppone un’esecuzione dolce ed espressiva; il secondo, Lebhaft, leicht, si vuole leggero e vivace; mentre il terzo Rasch, mit Feuer richiede un’interpretazione veloce e con fuoco. Tra un pezzo e l’altro si possono scoprire dei legami tematici: nel primo nella parte del pianoforte nasce un’intonazione dalla quale poi “crescerà” il tema del secondo, mentre l’incipit del terzo proviene dal motivo che conclude il secondo brano. Addirittura, nel pezzo conclusivo s’intrecciano i motivi dei due precedenti e il terzo brano chiude un ciclo in tre movimenti. Questa integrità è soltanto uno dei numerosi pregi dell’op. 73, piena di belle melodie, di slancio, di sincerità e di armonie sorprendenti. Ci piace sottolineare la ricchezza del pedale nella parte del pianoforte, indicato esplicitamente dall’autore.
Commento a cura di Valerij Voskobojnikov