Giovedì 9 settembre – ore 18.30
Fortezza Pisana | Marciana
Boris Garlitsky, Albina Khaibulina, violini | Béatrice Muthelet, Sào Soulez Larivière, viole | Giovanni Gnocchi, Jing Zhao, Simon Tetzlaff, violoncelli
A. Arenskij | Quartetto per violino, viola e 2 violoncelli n. 2 op. 35 |
1. Moderato
2. Tema (Moderato) con Variazioni
Var. I Un poco più mosso
Var. II Allegro non troppo
Var. III Andantino tranquillo
Var. IV Vivace
Var. V Andante
Var. VI Allegro con spirito
Var. VII Andante con moto.
Coda. Moderato.
3. Finale: Andante sostenuto – Allegro moderato
F. Mendelssohn | Quintetto per 2 violini, 2 viole e violoncello n. 1 op. 18 |
I. Allegro con moto
II. Intermezzo: Andante sostenuto
III. Scherzo: Allegro di molto
IV. Allegro vivace
Due anni fa in questo Festival per la prima volta si ascoltò la musica del compositore russo Anton Arenskij, un suo Trio, mentre quest’anno si propone una delle sue opere fondamentali: il Secondo Quartetto op. 35 “In memoria di Čajkovskij”, scritto tra 1893-1894 poco dopo la scomparsa di Pëtr Il’ič, grande amico ed illustre collega di Arenskij.
Due parole sulla figura di Anton Stepanovič Arenskij: egli ha vissuto solo 45 anni, è stato un compositore molto prolifico, ha scritto tre opere liriche, una delle quali si intitola Raffaello, delle sinfonie, alcuni Concerti per pianoforte e per violino, musica da camera, brani per pianoforte (ha trascritto la partitura del balletto Lo schiaccianoci dell’amico Čajkovskij), ha insegnato con successo al Conservatorio di Mosca, tra i suoi allievi figurano Sergej Rachmaninov, Aleksandr Skrjabin, espulso, con lo scandalo dalla sua classe, per totale incapacità di comprensione, (questi infatti è solo diplomato in pianoforte!), Reingold Glier, Aleksandr Goldenweiser e tanti altri; è stato molto attivo come direttore d’orchestra, organizzatore musicale, ma nonostante questo, se ci si vuole fidare delle parole di Rimskij-Korsakov, a causa della sua vita dissoluta (il bere e il gioco), “presto sarà dimenticato”.
Certamente nel suo Secondo Quartetto formato da un violino, una viola e due violoncelli, predomina la figura di Pëtr Il’ič e non solo nelle citazioni ma nello spirito totale dell’opera e nella sua vicinanza al famoso Terzo quartetto di Čajkovskij. La presenza del secondo violoncello determina il colore scuro e accentua il senso di dolore per la perdita di un Genio. Come è segnato sul frontespizio della stessa partitura del Quartetto nel primo movimento si cita e si sviluppa il tema di una messa funebre ortodossa “I singhiozzi sulla bara producono il canto: Alleluia!”; mentre nel tema secondario lo stesso motivo ecclesiastico è sempre presente. Il carattere del primo movimento è generalmente drammatico anche se non manca un’atmosfera di serenità e di dolcezza. Il secondo movimento è molto interessante e anzi, simbolico: Arenskij cita (nella sua tonalità originale di mi minore) una lirica infantile di Čajkovskij su un testo del poeta Aleksej Pleščeev, Leggenda. La poesia parla di Gesù bambino che coltiva nel proprio giardino delle rose e quando sono tutte fiorite le fa cogliere dai bambini ebrei, mentre a lui rimangono solo le spine, con le quali si intreccia una corona. Sulla base della melodia “pacificata”, anche se dolorosamente concentrata, Arenskij dopo l’esplosione della disperazione nel primo movimento, crea un’oasi di pace. Le sette variazioni sono molto diverse tra loro, il tema della Leggenda si illumina e si colora grazie ai contrasti, dinamici e ritmici. La varietà e il lavoro sul tema čajkovskiano erano talmente cari ad Arenskij che immediatamente dopo, come opus 35-a, nacquero le Variazioni per orchestra d’archi su un tema di Ciajkovskij. Nel Finale di nuovo un’apertura commemorativa, viene citata una nota melodia suonata nelle Chiese ortodosse, Eterno riposo, e poi si scatena una monumentale Fuga sul tema popolare “Slava”, “Gloria”, usato più e più volte dai compositori russi, che qui suona come l’apoteosi del tributo all’Artista scomparso, perché ai posteri sono rimaste la sua gloria e le sue creazioni. Arenskij inizia la fuga con una sonorità sommessa ma poi la fa crescere enormemente usando negli archi persino accordi di quattro note. Nell’insieme il Finale è un’esposizione dei diversi momenti di evoluzione della musica russa, della sua scuola, formatasi tardi ma divenuta presto solida e influente, si percepisce chiaramente che tutto il Quartetto è opera di un illustre professore di armonia, autore di manuali di esercizi.
Ogni volta che al nostro festival si propone una composizione di Felix Mendelssohn-Bartholdy, cosa che per fortuna succede spesso, ci viene da meravigliarci della sua fertilità e della precocità del suo talento. Ecco il suo Primo Quintetto per due violini, due viole e violoncello: composto da Mendelssohn all’età di appena 15 anni. (Si parla sempre del fenomeno “Mozart”, ma che dire di Mendelssohn che ha cominciato a comporre le sue sinfonie a soli 12 anni, non scherzava nemmeno Rossini, che iniziò la carriera di compositore alla stessa età senza dimenticare il bambino Šostakovič, autore di uno Scherzo sinfonico scritto a 13 anni). Il Quintetto op.18 uscito dalla penna e dalla fantasia di Mendelssohn nel 1826, inizialmente aveva 4 movimenti: Allegro con moto, Scherzo, Minuetto e Allegro vivace. Nel 1832 il compositore tornò sulla stessa opera, dopo essere stato informato dell’improvvisa morte dell’amico e mentore, il violinista Eduard Rietz, al quale era dedicato anche il Concerto per violino e orchestra in re minore (per molti anni dimenticato e riscoperto da Yehudi Menuhin) e decise di riscrivere in sua memoria questo Quintetto. Mendelssohn aggiunse il tempo lento, un Intermezzo, da lui stesso definito come “un grandioso Adagio” (in realtà un Andante sostenuto); certamente venne fuori una musica notevolmente più profonda e matura, piena di autentico dolore; poi seguì lo Scherzo mentre il Minuetto venne escluso dalla nuova versione. In questa forma l’opera fu finalmente inviata all’editore. In apertura l’Allegro con moto ci avvolge in un’atmosfera di benevolenza e graziosità, mentre il secondo tema è più giocoso, con il suo ritmo danzante. Nell’evoluzione si succedono momenti di puro virtuosismo (sempre ben presente il primo violino), ma è nella parte centrale che Mendelssohn raggiunge le sonorità del vero sinfonismo, sia per la ricchezza del suono nel forte che nei leggerissimi staccato. Come si diceva, al secondo movimento è affidato il ruolo commemorativo: questo commovente omaggio all’amico violinista è costruito con una straordinaria purezza e delicatezza nella scelta dei mezzi strumentali: dall’infinita melodia del primo violino, a lungo armonicamente sostenuto dai suoi compagni, si sviluppa una specie di “conversazione”, attraverso lo scambio delle brevissime “battute” e l’agitazione nei passaggi veloci di tutti e cinque gli strumenti. La conclusione in Fa maggiore è serena con il ritorno al tema iniziale dell’Intermezzo. Lo Scherzo: Allegro di molto è un vero capolavoro di strumentazione, una sorta di perpetuum mobile, un continuo movimento della stessa figura ritmica, inizialmente con le entrate da canone e poi sempre più complesso e vertiginoso; la fatica coinvolge tutto il quintetto, volano gli staccati, le discese per la triade, ogni tanto “brontola” comicamente il violoncello – tutto con una sonorità tipicamente mendelssohniana. Nel Finale Allegro vivace decisamente predomina il primo violino, il materiale musicale è basato sulla stessa figurazione ritmica, con l’inserimento di un elemento polifonico di carattere marziale. Sinceramente, dopo lo Scherzo strabiliante, è ben poco.