Domenica 12 settembre – ore 18.30
Villa Romana della Linguella | Portoferraio

Elena Garlitsky, pianoforte | Boris Garlitsky, violino | Sào Soulez Larivière, viola | Giovanni Gnocchi, violoncello | Mattia Riva, contrabbasso | Mara Corazza, soprano | Coro del Friuli Venezia Giulia | Cristiano Dell’Oste, maestro del coro

F. Schubert Quintetto per pianoforte e archi D. 667 “La Trota”
Allegro vivace
Andante
Scherzo. Presto
Tema. Andantino
Allegro giusto
F. Schubert Mirjams Siegesgesang per coro e pianoforte D. 942
Allegro giusto
Allegretto
Allegro agitato
Allegro moderato
Andantino
Allegro giusto

 

La venticinquesima edizione del Festival si conclude con un concerto interamente dedicato alla musica di Franz Schubert, “il più grande poeta in musica che sia mai esistito” secondo Ferenc Liszt, che ha trascritto per pianoforte i suoi numerosi Lied, a interi cicli, oltre a trasformare la sua Fantasia Wanderer in un brillante pezzo da concerto con orchestra. Non meno entusiasta e quasi profetico riguardo all’eredità di Schubert, scomparso all’età di 31 anni, fu il filosofo e compositore Friedrich Nietzsche, che espresse una sincera ammirazione nei confronti dell’artista, simbolo del romanticismo, fino a pronunciare la seguente frase, che dovrebbe essere sottoscritta da tutti: “Schubert ebbe, rispetto agli altri maestri, una maggiore ricchezza ereditaria musicale. Egli la elargì a piene mani con cuore buono; ed i musicisti ancora per qualche secolo avranno da nutrirsi dei suoi pensieri e delle sue idee. Nelle sue opere abbiamo un tesoro di trovate non messe a frutto; altri saranno grandi per il modo in cui sfruttano la loro grandezza”.
A giudicare dalla “scoperta” abbastanza recente delle Sonate e delle altre opere di Schubert per il pianoforte (da parte di Richter, in particolare, oltre che da Brendel, Pollini, Lupu, Sokolov e tanti altri pianisti dei nostri tempi) i musicisti continuano davvero a “nutrirsi” del suo genio; lo stesso vale per il pubblico che stasera avrà modo di ascoltare un capolavoro, assai conosciuto, come il Forellen Quintetto per pianoforte, violino, viola, violoncello e contrabbasso e la Cantata Mirjams Siegesgesang, di più rara esecuzione, che richiede la partecipazione di un coro, felicemente presente quest’anno all’Elba.
Il Quintetto nel quale Schubert ha incluso un contrabbasso, escludendo il secondo violino, ha una storia particolare, fu composto nel 1819 durante la felice e prolifica vacanza di Schubert in Alta Austria, a Steyr, paese natale del cantante Johann Michael Vogl, suo grande amico e campione entusiasta della sua musica. Nella casa in cui il compositore fu ospite alloggiavano ben otto ragazze, “quasi tutte carine” e appassionate di musica, in questo ambiente allegro le giornate ruotavano attorno all’argomento musicale e il lavoro di Schubert era al centro dell’attenzione. A quel periodo felice risale la composizione della bellissima e piuttosto breve Sonata in La maggiore, nota come op. 120 oppure D 664 (dedicata ad una delle graziose fanciulle del luogo, la diciottenne Josephine von Koller) nella quale si può ritrovare il clima di dolce allegria, simile a quello del Quintetto. Secondo le notizie dell’epoca l’opera venne commissionata dal ricco amico e violoncellista dilettante Sylvester Paumgartner, sarebbe stato proprio lui a suggerire al compositore di inserire una serie di variazioni sul tema di qualche suo Lied. Una simile operazione è rintracciabile in altre quattro opere di Schubert: nel Quartetto La morte e la fanciulla, nelle variazioni per flauto e pianoforte Trockne Blumen (D. 802), nella Wanderer-Fantasie per il pianoforte e nella Fantasia in Do maggiore per violino e pianoforte (D. 934, “Sei mir gegrüßt”). Il tema scelto da Schubert proviene dal suo Lied Die Forelle, composto nel 1817 su un testo del poeta Schubart. Il tema però (ciò non viene spesso precisato) nella prima esposizione nel quarto movimento Andantino è leggermente modificato (all’inizio dai soli archi): la tonalità dal Re bemolle maggiore nel Lied cambia in Re maggiore nel Quintetto; si aggiungono i ritmi puntati che lo rendono più leggero e brioso. Evidentemente un compositore davvero grande “non si ripete mai”. L’organico piuttosto insolito probabilmente è stato richiesto dallo stesso Paumgartner, egli infatti faceva parte di un gruppo di amatori, che avevano in precedenza affrontato un sestetto di Johann Nepomuk Hummel riarrangiato dallo stesso autore per pianoforte, violino, viola, violoncello e contrabbasso. La partitura del Quintetto La Trota, dopo qualche esecuzione, fu conservata nella biblioteca del Paumgartner e pubblicata postuma da Joseph Czerny come opera 114, ad un anno di distanza dalla morte del musicista.
Il Quintetto è in cinque movimenti. Nel fresco e scintillante Allegro vivace di apertura si respira un’atmosfera di euforica serenità dove gli arpeggi del pianoforte, i trilli e le infinite e delicate melodie creano, citando la splendida immagine di Giovanni Carli Ballola, “una rilassatezza lirica che ha il profumo greve e inebriante dei frutti estivi troppo maturi”. Il secondo movimento Andante è costituito da due episodi in tonalità diversa: il primo in Fa maggiore ed il secondo in La bemolle maggiore. Di nuovo tutto canta, anche quando le figure ritmiche diventano “puntate” non arrivano mai ad agitare eccessivamente l’atmosfera di leggera malinconia, tipicamente schubertiana, atmosfera che non scompare del tutto nemmeno nello spiritoso e veloce Scherzo.
Come abbiamo premesso, il tema del quarto movimento, Andantino, viene presentato dai soli archi, a partire dalla prima variazione interviene il pianoforte dopo il quale il tema viene ripreso in ordine dalla viola, dal contrabbasso, dal violino e dal violoncello. Si tratta certamente del momento più felice di tutta l’opera: la ricchezza dell’elaborazione, la fantasia, le figurazioni ritmiche, gli svolazzi, degli archi e del pianoforte… Tutto appare leggero e gaio; questi suoni ci mettono di fronte ad un autentico godimento estetico davvero irresistibile. Ancora una citazione, di Alfred Einstein: il senso di benessere spirituale che procura questo ascolto è parte integrante dello Schubert “che non possiamo fare a meno di amare”.
Devo solo aggiungere che il Finale in alcuni momenti riprende le melodie già ascoltate nei movimenti precedenti anche se cambia leggermente il sapore e diventa un po’ più ungherese, come del resto indica Schubert stesso: Allegro giusto “all’ongarese”; così siamo portati a ricordare, ancora una volta in questo Festival dei finali di “papà Haydn” e del principe Esterházy.
Franz Schubert è il maestro riconosciuto del Lied tedesco per voce sola con accompagnamento di pianoforte. Nella sua produzione vocale spiccano però, per qualità e quantità, anche un gruppo di lavori destinati all’esecuzione a più voci: terzetti, quartetti e cori. Nel catalogo di Schubert si contano ben 135 composizioni di questo genere, ma da questo numero restano escluse le opere corali sacre, legate alla musica religiosa e alla liturgia: sei Messe e una quarantina di composizioni di vario tipo. Il grande merito storico di Schubert infatti consiste, tra le altre cose, nell’aver salvato la magnifica tradizione popolare del canto corale a più voci; su queste basi, negli anni a venire, nacque e si sviluppò l’opera romantica tedesca e austriaca. Il piacere di cantare insieme ad un gruppo di amici, componendo quartetti maschili, Schubert lo mantenne per tutta la vita, aveva infatti studiato la musica corale dell’età barocca durante il periodo del suo apprendistato come ragazzo cantore nella Cappella di Corte, presso il Convitto imperiale di Vienna, e poi sotto la guida di Antonio Salieri, suo maestro di composizione. La svolta decisiva nell’ambito della musica corale avvenne verso la fine della sua brevissima vita, fu infatti l’attenzione che dedicò allo studio degli oratori di Händel che lo indusse certamente a comporre il Canto di vittoria di Miriam, nel 1828, poco prima della sua morte.
Il testo del poeta Franz Grillparzer è tratto dall’Esodo 15,20-21: “Allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un timpano: dietro a lei uscirono le donne con i timpani, formando cori di danze. Maria fece loro cantare il ritornello: ‘Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere!’”. Da allora Miriam venne eletta “profetessa” e insieme alle altre figlie di Israele cantò il suo inno mentre il Popolo Eletto attraversava le acque del Mar Rosso, quelle stesse acque che inghiottiranno l’esercito del Faraone, colpito dall’Ira di Dio. Userò la mirabile (a mio modesto parere) traduzione di Sergio Sablich per seguire la costruzione di questa cantata Canto di vittoria di Miriam con i miei brevi commenti sul carattere della musica composta da Schubert, per illustrare il testo patetico-eroico, non a caso intitolato da Franz Grillparzer “Gesang” e non “Lied”.

Il Canto apre con un Allegro giusto in Do maggiore; il pianoforte imita le trombe, accordi solenni e gioiosi lodano il Signore:

Rührt die Cymbel, schlagt die Saiten
Suonate il salterio, percuotete le corde,
che l’eco si spanda lontano,
grande il Signore in eterno,
oggi grande come mai prima!

Allegretto in Fa maggiore prima placido, poi sempre più animato, descrive la potenza che ordina al mare di aprirsi e far passare il popolo d’Israele verso la terra promessa.

Aus Egypten vor dem Volke
Guidando il popolo dall’Egitto,
come il pastore, il bastone per protezione,
sei giunto qui, il tuo bastone la nube,
e il tuo occhio l’ardore del fuoco.
E il mare ode la tua voce,
si apre al corteo dei fuggitivi, diviene terra,
atterriti dalla violenza del mare,
guardano attraverso la parete di cristallo.
Ci fidammo della tua voce,
entrammo felici nella nuova terra.

Il successivo Allegro agitato in do minore è la parte centrale della ricostruzione degli avvenimenti, qui la partecipazione del pianoforte diventa assai più impegnativa, i ritmi si fanno accelerati, tremoli, in crescendo, prima la descrizione dell’angoscia, dell’avvicinarsi della morte, del nemico armato, e verso la fine, sulle terzine staccato del pianoforte e le repliche del coro, che ripetono le parole del soprano-solista, all’improvviso l’annuncio: “tempesta!”

Doch der Horizont erdunkelt
Ma l’orizzonte si oscura,
cavalli e cavalieri si addensano,
corni echeggiano, ferri scintillano,
è il faraone con il suo seguito.
Signore, minacciati dal pericolo
noi senza aiuto, là uomini e cavalli,
e i nemici, assetati di morte
si avvicinano, per il sentiero sicuro,
di più, ancora di più.
Ma ascolta! quale mormorio;
Folate, rombi, tuoni, ascolta, tempesta!

Prosegue con un Allegro moderato nella stessa tonalità, che poi modula in sol minore, divenendo ancora più drammatica: le sonorità forti, le scale al pianoforte, tremolo, elementi polifonici tra coro e solista, ritmo scattante, accenti e in fine il diminuendo sull’accordo di sol minore.

‘Sist der Herr in seinem Grimme,
È il Signore nella sua collera,
sprofonda tutt’intorno la torre dell’acqua,
cavalli e cavalieri, uomini e bestie
intrappolati, avviluppati
nella rete del periglio,
spezzati i raggi dei loro carri,
morto il guidatore, morto il tiro!

Nell’Andantino in mi minore tutto cambia: nessuna gioia per la salvezza, nessun grido di vittoria, solo una breve esclamazione sulla sorte del faraone; la musica è mesta, ad un tratto il mi minore si trasforma in fatale si minore, la tonalità universalmente più funebre, come dimostrano le messe, le sonate, la sinfonie.

Tauchst du auf, Pharao?
Vieni a galla, faraone?
Giù, giù nell’abisso,
nero come la tua anima!
E il mare ha ora eseguito,
placidi ondeggiano i flutti,
nulla esiste più di quel che ha sommerso,
un deserto, tomba e bara insieme.
Vieni a galla, faraone?…
Il mare ha eseguito il suo terribile atto,
placidi ondeggiano i flutti,
niente esiste più di quel che ha sommerso,
tomba degli scellerati e bara insieme.

Il brano termina con il Tempo I, la ripresa del Canto di Vittoria, altri compositori si sarebbero accontentati di una semplice ripetizione ma Schubert aggiunge sugli stessi versi “Grande è il Signore in eterno” una fuga poderosa.

D’rum mit Cymbeln und mit Saiten
Mano al salterio e alle corde,
che l’eco si spanda lontano:
grande il Signore in eterno,
oggi grande come mai prima!

Commento a cura di Valerij Voskobojnikov